Chieti, negoziante condannata per aver chiuso la socia dentro il locale dopo una lite

28 Febbraio 2014

Un anno e sei mesi alla contitolare della boutique sotto i portici del Corso, la donna dovrà anche risarcire i danni

CHIETI. Stavano litigando su quale fosse la titolarità dei vestiti presenti in boutique. Ma una delle due socie, si è particolarmente arrabbiata e ha pensato bene di chiudere a chiave la collega dentro il locale. Lyudmila Kumishcheva, 36 anni, originaria dell’Ucraina, contitolare del negozio di abbigliamento Elior Paris, sotto i portici di Corso Marrucino (trasferitosi qualche settimana fa a Pescara) è stata condannata a un anno e sei mesi di reclusione per violenza privata. La sentenza firmata dalla giudice patrizia Medica ha definito anche il risarcimento danni: 2.500 euro. Denunciata dall’ucraina per ingiuria, esercizio arbitrario delle proprie ragioni e lesioni, la socia, Isabella Di Vita, 42 anni, originaria del Venezuela, residente a Pescara, è stata invece prosciolta.

I fatti risalgono all’estate del 2010.

Le due giovani donne incominciano a bisticciare all’interno del negozio, una deliziosa boutique che vende abiti, scarpe e bigiotteria particolarmente originali. Il motivo? Quali e quanti vestiti fossero dell’una o dell’altra. Alla fine Kuzmishcheva perde la pazienza, esce dal negozio e chiude la porta dietro di sé, ma a chiave. Dentro la povera Di Vita che implora la collega di aprire la porta. Si mette persino in ginocchio, ha paura. Ma Kuzmishcheva non ha pietà, la fa restare chiusa nel locale per 10 minuti. Una situazione che se non rappresentasse gli estremi di reato farebbe anche ridere.

Ma non suscita ilarità in Di Vita che non sa che fare. Poi pensa di chiamare la sorella alla quale chiede di essere liberata. La donna fa di più, chiama la polizia. Infatti dopo un po’ arrivano gli uomini della questura che quasi non credono ai loro occhi e alla fine Di Vita viene liberata. Davanti al negozio si creano capannelli di persone. Qualche giorno dopo parte la denuncia querela di Di Vita. La ucraina viene rinviata a giudizio e la collega si costituisce anche parte civile. Sostiene che quell’episodio l’ha turbata psicologicamente e moralmente, causando risentimenti e turbamenti d’animo oltre ad averle provocato danni morali. La donna chiede un risarcimento danni di 20mila euro.

Ma la Kuzmishcheva non si rassegna, anzi fa una controquerela e denuncia la collega per lesioni, esercizio abusivo delle proprie ragioni e ingiurie. Di Vita però viene prosciolta dalle accuse. E i vestiti? Sicuramente se li saranno divisi equamente.

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