l'inchiesta

Chieti, nel crac di Banca Etruria ci sono 25 milioni di Villa Pini

Anche la Sanitopoli abruzzese nella lista nera di big debitori dell’istituto. E per l’ex Carichieti spuntano 860 milioni di sofferenze, l’udienza il 2 maggio

CHIETI. Nella voragine di Banca Etruria finisce anche un pezzo della Sanitopoli abruzzese. In quel default, da due miliardi e 700 milioni di euro, spunta una fetta di 25 milioni di euro targati Villa Pini d’Abruzzo. La lista nera dei big debitori della banca del papà della Boschi, ex vicepresidente finito nel mirino della procura di Arezzo che indaga per bancarotta, è trapelata ieri. Nomi eccellenti la compongono. A metà dell’elenco spunta il collegamento con l’Abruzzo. Era il 2006 quando il gruppo Villa Pini ottiene da Banca Etruria un finanziamento di 10 milioni di euro. L’anno dopo, ne riceve altri 15 e mezzo.

Debiti che il commissario liquidatore di Banca Etruria piazza in sofferenza, cioè fra i crediti deteriorati dell’istituto finito in liquidazione, e li inserisce nella relazione che ha spinto il tribunale civile a dichiarare il fallimento e a trasmettere gli atti alla procura. E’ praticamente identico al percorso imboccato, in questi giorni, dalla ex Carichieti.

Cambia il nome del commissario liquidatore che, nel caso della banca di via Colonnetta, è l’avvocato romano Massimo Bigerna, affiancato dal collega teatino Pierluigi Tenaglia, presidente dell’Ordine forense.
E cambia anche l’importo delle sofferenze: poco più di 400 milioni di euro al 31 dicembre del 2013, lievitati, però, alla bellezza di 860 milioni dopo che gli ex commissari, tra i quali Salvatore Immordino, ora Ad della Nuova Carichieti, hanno fatto ordine tra il dare e l’avere, e trasformato i semplici incagli in sofferenze, cioè in crediti non più esigibili dalla banca. Ma questa relazione deve passare al vaglio del giudice relatore, Nicola Valletta, che ha fissato al 2 maggio la prima udienza per la dichiarazione dello stato d’insolvenza della vecchia Carichieti.

Quel giorno si capirà tutto. Ma torniamo al default di Banca Etruria e al coinvolgimento del gruppo Villa Pini tra i debitori che l’hanno causato.

La ricostruzione è semplice e aiuta a capire meglio il ruolo che Vincenzo Angelini, ex re delle cliniche private, ha giocato, o meglio subìto, negli anni in cui il suo regno è crollato a pezzi sotto i colpi della politica regionale e della magistratura teatina. E’ il 2006 quando Angelini, attraverso le sue società, dopo l’acquisto della clinica Sanatrix dell’Aquila, investe i milioni prestati da Banca Etruria, per rilevare l’immobile delle Cannella, ampliare e modernizzare la Sanatrix. Era un debito ipotecario.

L’anno dopo, Villa Pini, attraverso la finanziaria Novafin, ottiene da Banca Etruria altri 15,5 milioni di euro. E fu un’operazione di factoring: Angelini scontò fatture emesse da Villa Pini per prestazioni sanitarie erogate ma non pagate dalla Regione. In altre parole, il re delle cliniche cedette il suo credito alla banca. Ma qui sorge una domanda: il suo era davvero un credito inesigibile? No perché Banca Etruria, a differenza di Unicredit che finanziò 25 milioni a Villa Pini, non si è mai insinuata nel fallimento del gruppo di Angelini. Quindi, per l’ex management della banca aretina finita sott’accusa, i milioni di Sanitopoli non erano affato crediti deteriorati e irrecuperabili.

Fino all’ultimo ha sperato di recuperarli anche Angelini che vanta 250 milioni dalla Regione per prestazioni non rimborsate. E che ha presentato appello contro la condanna a 10 anni per la bancarotta ed è stato assolto, dai giudici di secondo grado del processo Sanitopoli, anche dal reato di truffa. Come dire: quelle prestazioni mediche, recuperate in minima parte con i fondi di Etruria, gli dovevano essere pagate perché erano state fatte davvero.