Chieti, truffa da 100mila euro con i falsi posti in ateneo

Si allarga l’inchiesta contro Magno, Di Odoardo e gli altri: quattro famiglie sporgono nuove denunce alla procura

CHIETI. False assunzioni, il gruzzolo intascato dai complici cresce e per la procura di Chieti con la vendita di posti fantasma all’Università sarebbero stati truffati ben 100mila euro. Una cifra lievitata nel giro di pochi mesi supportata dalla testimonianza di quattro nuove vittime. Ma il giro d’affari, secondo gli investigatori, in futuro potrebbe svelare aspetti ancora più inquietanti e redditizi. Si arricchisce così di nuovi capitoli la vicenda giudiziaria che ha incastrato 5 persone. O meglio 5 attori che pur di vendere posti di lavoro fantasma alla d’Annunzio a sprovveduti genitori con figli da sistemare imitavano, per telefono, la voce del rettore dell’ateneo Carmine Di Ilio. Una sceneggiata truffaldina che ha relegato ai domiciliari Marco Marino, 54 anni di Ortona insieme alla sorella Patrizia, di 55 anni, impiegata al Dsb di Ortona e alla figlia di quest’ultima, Pamela Magno, 32 anni. Nei guai anche il dirigente dell’Arta ed ex direttore amministrativo della Asl ortonese, Luciano Di Odoardo, di 69 anni e Maria Concetta Vadini, ortonese di 55 anni. A questi si aggiungono gli indagati che hanno evitato l’onta dell’arresto: Lino Cantillo D’Arcangelo, 59 anni ex vice sindaco di Casalincontrada, responsabile della mensa dell’ospedale di Chieti e Cesare Claudio Di Renzo, altro ortonese di 35 anni. Ai 5 sono stati revocati i domiciliari, mentre per Di Odoardo è stato disposto l’obbligo di dimora.

Le accuse, a vario titolo, e tutte ancora da dimostrare, vanno dal millantato credito, alla truffa, al falso, alla sostituzione di persona. I posti di lavoro promessi sono da impiegata di segreteria, dipendente di 8° livello funzionale, centralinista, autista o portaborse e, nel caso più singolare, in un istituto del Vaticano attraverso l’intercessione di un cardinale che però si doveva “oliare” con 5mila euro. Nella truffa che ricorda la sceneggiatura del film di Totò che tenta di vendere la fontana di Trevi a uno sprovveduto turista straniero, c’era chi rassicurava le vittime sfruttando il prestigio della carica pubblica ricoperta che gli dava credibilità. Marco Marino (e in un caso Di Renzo) sarebbe l’imitatore. Mentre la Vadini si presentava come sedicente professoressa Stefania Della Penna, naturalmente inesistente, per fare la telefonata finale. Ed è così, sempre secondo l’accusa, che Ugo D. e la moglie avrebbero pagato 15 mila euro, poi altri 3.850 («per il pagamento di non meglio precisate tasse») e ancora 5mila euro. Ma il figlio non ha mai avuto il posto in Ateneo. E neppure la figlia in Vaticano. Ad oggi sono 15 le famiglie truffate.