Ex presidente bloccato in un bar: capo ultrà del Chieti condannato

Un anno di reclusione a Francesco Salvatore per le intimidazioni del 2019 a Filippo Di Giovanni che al tempo denunciò: «Meccanismo quasi da avvertimento mafioso»
CHIETI. Il capo ultrà del Chieti calcio, Francesco Salvatore, è stato condannato a un anno di reclusione per violenza privata nei confronti dell’ex presidente neroverde Filippo Di Giovanni. La sentenza è stata emessa ieri sera dal giudice Luca De Ninis. Il pm d’aula Simonetta Aleo aveva chiesto per l’imputato due mesi in più.
La vicenda, su cui hanno indagato i poliziotti della Digos teatina, coordinati dal pubblico ministero Giancarlo Ciani, si è consumata fra gennaio e luglio 2019. Nella sua denuncia Di Giovanni, all’epoca segretario cittadino del Partito democratico e ancora oggi consigliere comunale, sotto la cui presidenza il Chieti aveva vinto il campionato di Eccellenza apprestandosi all’iscrizione in serie D, ha raccontato di aver ricevuto minacce per essere indotto a lasciare la società. Ha descritto anche un episodio avvenuto in un bar dello Scalo, dove ha temuto per la sua incolumità, oltre a una serie di comunicati dai contenuti minacciosi e a uno striscione affisso davanti alla sede del Pd.
L’apice della contestazione è stato raggiunto il 18 marzo 2019. «Quel giorno», ha ricostruito Di Giovanni, «mi era stato chiesto un incontro in un bar. Arrivato sul posto, percepii immediatamente che il clima era arroventato. Erano presenti Francesco Salvatore, S.S. e S.G. (questi ultimi giudicati con l’abbreviato e assolti in appello, ndr) e un altro ragazzo, un po’ in disparte, che non conosco. Appena arrivato, il dialogo, se così lo si può chiamare, iniziò subito ad avere toni sprezzanti da parte loro e di sfida. Con un meccanismo quasi da avvertimento mafioso, Salvatore, spalleggiato dagli altri due, mi intimava che il mio percorso alla guida del Chieti calcio era finito. Mi si attribuiva una generica e poco o nulla documentata incapacità gestionale. A un certo punto, vedendo Salvatore puntarmi il dito contro il viso, e accorciare sempre di più le distanze, temendo per la mia incolumità, mi alzavo di scatto, dicendo di non voler proseguire una discussione con questi toni, e provavo ad andar via dalla sala. A quel punto, la reazione di Salvatore diventò violenta: scaraventò via la sedia e iniziò a minacciarmi intimandomi di rimettermi seduto. Solo l’intervento di S.G., che si frappose tra me e Salvatore, gli impedì di portare a termine l’azione violenta. Il dato fattuale è che mi è stato impedito con violenza e minacce di uscire da una stanza che io volevo abbandonare sentendomi non più al sicuro».
La difesa, con l’avvocato Guido Colaiacovo, aveva chiesto l’assoluzione, ritenendo i fatti non provati. Di contro, il giudice ha condannato Salvatore – 40 anni, leader del gruppo Ottantanove Mai domi, presente in aula alla lettura del dispositivo – anche al risarcimento di 4.000 euro a Di Giovanni, costituitosi parte civile attraverso l’avvocato Nicola Apollonio.
«Anche il tribunale di Chieti», commenta Apollonio, «così come avvenuto in altre città, ad esempio Torino, ha accertato che non è ammissibile che gli ultrà, e in questo caso il loro capo, possano coartare le scelte e la libertà di un imprenditore che, con i propri mezzi economici, decide di intraprendere un’avventura sportiva. Siamo soddisfatti».