Fontecchio e i primi 30 anni: «È un sogno giocare in Nba»

L’ala di Francavilla martedì 9 dicembre spegnerà le candeline in campo contro gli Orlando Magic: «Punto alle Olimpiadi di Los Angeles 2028 perché lì ha gareggiato anche mio padre»
MIAMI. Martedì 9 dicembre Simone Fontecchio compirà trent’anni. Un traguardo importante per il cestista di Francavilla al Mare, al momento lo sportivo abruzzese in attività più importante al mondo. L’ala dei Miami Heat, al quarto anno in Nba, la massima lega internazionale di pallacanestro, sta incantando tutti grazie all’apporto che fornisce uscendo dalla panchina in termini di punti e leadership difensiva. Ecco allora l’occasione per festeggiarlo attraverso un’intervista che ha rilasciato in esclusiva per il Centro, nella quale si racconta non solo come professionista ma anche come uomo, partito da ragazzo con le valigie in mano in direzione Bologna per coltivare il sogno di giocare a basket e che, dopo anni formativi tra la Virtus e l’Olimpia Milano, con due parentesi a Cremona e Reggio Emilia sempre in serie A, ha spiccato definitivamente il volo prima a Berlino e poi con il Baskonia in Spagna. Sulle orme del nonno Vittorio e della madre Malì, Simone sta portando avanti quella che negli States chiamano la “legacy”, vale a dire una tradizione vincente e caratterizzata dal fulgido talento con la palla a spicchi arancione tra le mani.
Fontecchio, trent’anni sono un traguardo importante. Come li festeggerà?
«Sarò in campo a Orlando perché con Miami parteciperò ai quarti di finale della coppa Nba (a mezzanotte ora italiana, ndr). E, se vinceremo, strapperemo il pass per Las Vegas. Insomma, un compleanno non proprio all’insegna della festa, ma sicuramente molto interessante».
Dati alla mano, a Miami ha ritrovato nuova linfa, disputando la sua miglior stagione in Nba fin qui.
«Effettivamente sono molto contento di come stiano andando le cose. Non parlo solo del mio rendimento, ma anche di quello di tutto il gruppo. Spero di confermarmi sempre di più, anche perché si è creato un equilibrio davvero molto buono».
Come si vive a Miami, dopo le esperienze a Salt Lake City e Detroit? Che cosa le sta piacendo di più della città, dei tifosi e ovviamente della squadra?
«Qui vivo molto bene. Finalmente, per la prima volta nella mia carriera, mi ritrovo con la famiglia in un posto caldo (ride, ndr). Sembra anche un po’ strano stare in maglietta e pantaloncini a dicembre, però è bellissimo trascorrere del tempo qui. Ci siamo sentiti subito a nostro agio e accolti, ed è la cosa più importante anche per mia moglie e le mie figlie Luna e Bianca. I tifosi sono caldi, capita spesso che ti riconoscano lungo le strade. C’è una grande concentrazione di latino-americani che vivono lo sport con grande trasporto. Sembra quasi di stare in Europa. Un altro ambiente rispetto a Salt Lake City o Detroit dove ho giocato. Sulla squadra, invece, non posso che spendere belle parole: mi trovo benissimo con tutti, dai compagni alla dirigenza».
Ha raggiunto la piena maturità cestistica e Miami al momento si candida ad avere un ruolo primario nei play off: quali sono gli obiettivi per questa stagione?
«Nessuno si aspettava questo inizio di stagione, nessuno ci calcolava sinceramente. Ha sorpreso tutti ritrovarci terzi in Eastern Conference. Da parte nostra, sin dal raduno, c’è stata la consapevolezza di voler provare a raggiungere i play off e fare una stagione positiva. Ora forse le altre squadre si stanno rendendo conto del nostro potenziale, quindi potrebbero affrontarci con maggiore determinazione. Ma noi continuiamo dritti su questa strada».
Ripercorrendo la sua carriera, quali sono stati gli allenatori che le hanno permesso di crescere e migliorare come cestista? Se c’è un tecnico in particolare al quale vuole dire un grazie, chi sarebbe?
«Sicuramente ho avuto tanti allenatori importanti. Però, Giordano Consolini ha avuto un peso specifico importante. È stato il tecnico che mi ha accompagnato nel processo di crescita nelle giovanili della Virtus Bologna. Con lui sono diventato non solo un giocatore, ma anche una persona migliore, a mio avviso, tenendo conto che il periodo dai 14 ai 18 anni è sempre molto delicato. Ha instillato in me i valori dell’etica del lavoro e del sacrificio nello sport. Un altro importante è Jasmin Repesa ai tempi di Milano, credeva molto in me e mi dava tanta fiducia. Così come Will Hardy a Utah che è stato il primo a darmi una chance in Nba, senza dimenticare Aito Garcia a Berlino che mi ha fatto giocare davvero in Eurolega».
Arrivato a questo traguardo, avrebbe mai immaginato di arrivare tra i fenomeni mentre si allenava con la palla a spicchi a Francavilla?
«Sinceramente no, è stato un qualcosa di inaspettato. Da bambino, quando giocavo con mio fratello davanti ad un canestro nel cortile di casa di nonno Vittorio, andavo avanti molto con l’immaginazione. Eppure non avrei mai pensato che quelle fantasie potessero concretizzarsi».
Ripartendo dall’infanzia, cosa sognava o dove si immaginava a 30 anni? Ha raggiunto l’obiettivo o le cose sono cambiate rispetto ai piani iniziali?
«Ho sempre sognato di giocare a basket e farlo come professionista. Quindi speravo di ritrovarmi a 30 anni e giocare. Forse, ad essere sincero, mi auguravo di arrivare al massimo in serie A perché era il campionato che seguivo di più da ragazzo. Quindi, direi che siamo andati ampiamente oltre le aspettative. Però la strada è ancora lunga, c’è sempre qualcosa da raggiungere e un nuovo traguardo da conquistare».
Trent’anni sono una tappa fondamentale nella vita di ognuno, specie di un atleta professionista: ha altri obiettivi a medio e lungo termine che ha messo nel mirino?
«Mi piacerebbe continuare la mia carriera in Nba come ho sempre detto. Invece a lungo termine vorrei partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028. Anche per un legame affettivo. Mio padre partecipò a quelle del 1984 sempre a Los Angeles e, se riuscissi ad arrivarci, significherebbe molto per la mia famiglia, oltre che per la Nazionale di pallacanestro».
Il sogno nel cassetto?
«Vincere una medaglia con l’Italia, qualunque essa sia tra Mondiali, Europei o Olimpiadi. Rappresentare l’Italia all’estero mi carica tantissimo, condividere tanto tempo con compagni con cui sono cresciuto è un momento speciale».
Come le piacerebbe essere ricordato quando un giorno smetterà di giocare?
«Una domanda da un milione di dollari (ride, ndr). Vorrei essere ricordato come uno dei migliori giocatori italiani di pallacanestro e, soprattutto, una persona che ci ha messo il cuore e l’anima in ogni partita della sua carriera, casomai riuscendo a regalare una gioia o un’emozione speciale ai propri tifosi».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

