Falsi incidenti e truffe alle assicurazioni, in 14 vogliono patteggiare

Chiusa la prima fase dell’udienza preliminare sulla maxi inchiesta che conta oltre 120 imputati. E in tre chiedono il rito abbreviato
CHIETI. In 14 chiedono di patteggiare e in tre di essere giudicati con il rito abbreviato. Si è chiusa così ieri, davanti al giudice Enrico Colagreco, la prima fase dell’udienza preliminare sulla maxi inchiesta con oltre 120 imputati – coordinata dal pubblico ministero Giancarlo Ciani – che ha svelato l’esistenza di una banda che, per più di sette anni, ha organizzato falsi incidenti stradali frodando le assicurazioni e intascando ricchi risarcimenti. Una banda, capeggiata da avvocati e medici, che non si faceva scrupoli a ingaggiare indigenti pronti a trasformarsi in «attori» e a sopportare persino bastonate alle articolazioni per procurare fratture reali e mettere a segno i raggiri.
Un’indagine, quella condotta dai poliziotti della squadra mobile e dalla guardia di finanza, che è arrivata al capolinea in tempi brevi, se si considerano non solo la quantità di persone coinvolte ma anche il gigantesco volume d’affari illegali, che supera il milione e mezzo di euro, e la valanga di falsi sinistri. Per l’accusa, è emersa l’attività di un’associazione per delinquere – in azione tra Chieti, Ortona e Pescara – finalizzata alla commissione di frodi assicurative, sostituzione di persona, delitti di falso, furto aggravato, «conseguendo ingenti e ingiusti profitti, coinvolgendo di volta in volta singole persone compiacenti» per inscenare investimenti e schianti.
La cupola era formata da 17 insospettabili, principalmente in giacca e cravatta o in camice bianco. Le gravi ricadute economiche, si legge sulle carte dell’inchiesta, non sono solo in danno delle compagnie assicuratrici «bensì dell’intera collettività, esposta a significativi incrementi dei premi assicurativi, onde ristabilire l’equilibrio economico delle compagnie vittime delle frodi». Senza considerare «le ancora più gravi ricadute in termini di credibilità e affidabilità dei professionisti coinvolti, anche iscritti ad albi, e delle corporazioni ai quali essi appartengono».
A colpire è stata anche «la rimarchevole capacità di penetrazione sia nel tessuto delle varie professioni coinvolte nella gestione delle pratiche risarcitorie fraudolente – avvocati, già affermati o praticanti, commercialisti, medici, infermieri, tecnici radiologi, liquidatori delle compagnie assicuratrici – sia nell’ambiente dei faccendieri, alla costante ricerca di “denaro facile” (che, come afferma un avvocato in una delle conversazioni, “piace a tutti”) e della pletora di soggetti da loro di volta in volta reclutati quali “attori” delle frodi, spesso per poche decine o centinaia di euro». Gli indagati avevano paura del «trojan», il captatore informatico che trasforma un cellulare in un microfono spia h24: i componenti della banda parlavano spesso all’aperto e, soprattutto, tenendo a distanza gli smartphone.
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