Pamoli

Famiglia del bosco, le lacrime di Catherine davanti alla vice console australiano

10 Dicembre 2025

La mamma racconta il suo dramma alla rappresentante del governo. Il faccia a faccia dura un’ora, poi il colloquio con il legale e i tutori dei tre piccoli

VASTO. La diplomazia, con i suoi protocolli rigidi e le sue auto blindate, a volte deve fermarsi e lasciare spazio a qualcosa di molto più immediato e ingestibile: il dolore di una madre. Succede poco dopo le dieci del mattino, negli ambienti riservati della casa di accoglienza di Vasto, dove vivono da venti giorni i bambini della casa del bosco di Palmoli. Mentre fuori dal cancello una trentina di operatori dell’informazione, tra fotografi, cameraman e giornalisti, cerca di catturare un’immagine attraverso le sbarre, dentro si consuma un incontro che ha ben poco di istituzionale e molto di umano. Catherine Birmingham, la cittadina australiana al centro di un caso giudiziario che divide l’opinione pubblica, piange. Piange davanti alla rappresentante del suo governo, faticando a trattenere un’emozione che non è fatta di rivendicazioni legali, ma di pura sofferenza materna.

La cronaca di questa mattinata diversa dalle altre inizia alle 10.17. La tabella di marcia prevede un orario più tardo, ma la Bmw con la targa del corpo diplomatico anticipa i tempi di oltre mezz’ora, forse per sfuggire all’assedio mediatico o forse per guadagnare minuti preziosi. L’auto scura arriva davanti alla struttura protetta scivolando via veloce. L’autista rallenta giusto il tempo necessario perché il meccanismo automatico del cancello liberi il passaggio. Chi spera in un cenno, in un volto abbassato dal finestrino, rimane deluso: i vetri rimangono chiusi, sigillando l’interno dall’esterno. Sul sedile posteriore siede la vice console dell’ambasciata australiana a Roma, Claudia Elizabeth Foster, arrivata in Abruzzo per rendersi conto di persona della situazione.

Una volta dentro, lontano dagli obiettivi, il protocollo lascia il posto alla realtà. Il primo colloquio è un faccia a faccia riservato che dura all’incirca un’ora. Nella stanza ci sono solo loro due: la diplomatica – tecnicamente, il suo ruolo è di «secondo segretario agli affari consolari» – e Catherine. I bambini non ci sono. Una scelta precisa, dettata dalla necessità di permettere alla donna di parlare liberamente, senza filtri, senza il timore di turbare i figli con il peso delle parole o delle lacrime. E le parole sono pesanti. Catherine racconta il suo dramma quotidiano, una vita sospesa iniziata il 20 novembre, il giorno in cui il mondo che conosceva si è spaccato in due.

Racconta che non vive più con suo marito, Nathan Trevallion. Ma soprattutto descrive la geografia di quella casa famiglia, dove la distanza non si misura in chilometri ma in rampe di scale. Catherine vive al piano superiore della struttura, i suoi figli sono a quello inferiore o in aree comuni a lei interdette per gran parte della giornata. La regola è ferrea: può vederli solo in tre fasce orarie precise, coincidenti con la colazione, il pranzo e la cena. Il resto del tempo è attesa. Spiega alla vice console quanto sia tremendo per lei sentire le loro voci che salgono dal piano di sotto, sentirli ridere o scherzare, sapere che sono lì, a pochi metri, e non poter scendere per abbracciarli. Restano divisi da un paio di scale che, in questo momento, sembrano un confine invalicabile quanto un oceano.

La vice console ascolta. Il suo ruolo in questa fase è delicato: offre tutta la disponibilità dell’ambasciata a sostenere Catherine in quanto cittadina australiana, ma mantiene la necessaria distanza istituzionale. Non entra nel merito della complessa vicenda giudiziaria che è competenza esclusiva dei tribunali italiani. Anche il tema di un eventuale, futuro ritorno in Australia rimane sullo sfondo, una prospettiva di cui si parlerà solo in un secondo momento, quando il quadro legale sarà più chiaro.

Dopo questo lungo sfogo, la visita si allarga. Foster, che non parla italiano e si avvale della mediazione di un collaboratore per la traduzione, vuole salutare i tre bambini e pure Nathan, che nel frattempo ha raggiunto la struttura. È un momento più corale, a cui partecipano anche le figure legali che ruotano attorno alla famiglia: l’avvocato della difesa Danila Solinas, la curatrice speciale dei minori Marika Bolognese e la tutrice Maria Luisa Palladino. Un breve incontro, utile per dare un volto a chi, sulla carta, ha in mano il destino dei piccoli.

Poi, così come era arrivata, la vice console riparte. Sono le 12.04 quando la Bmw varca nuovamente il cancello in uscita. Lo stesso copione di meno di due ore prima: vetri alzati, nessuna dichiarazione alla stampa che attende fuori, l’auto che si dirige rapida verso l’imbocco dell’autostrada. Dietro quel cancello che si richiude, il silenzio torna a coprire la casa di accoglienza.

Di questa visita resta la cronaca di un appoggio formale, certo, ma soprattutto resta l’immagine di una madre che piange perché non può scendere le scale per stringere i suoi figli quando vuole.