Famiglia nel bosco, i 6 punti chiave del ricorso: c’è la richiesta d’urgenza

Si punta alla sospensione dell’ordinanza di allontanamento prima dell’udienza, ma la Corte d’appello ha sessanta giorni di tempo per il verdetto definitivo
PALMOLI. Sono sei i pilastri su cui si fonda la speranza di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham di riabbracciare presto i loro tre figli. Sei punti chiave che costituiscono l’ossatura del reclamo depositato dai nuovi difensori, gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, contro l’ordinanza del tribunale per i minorenni dell’Aquila. Al centro della contestazione ci sono la violazione del diritto all’assistenza linguistica, la questione degli esami medici, l’idoneità della casa nel bosco, il percorso di istruzione, la socialità dei minori e la loro esposizione mediatica.
Su queste basi, i legali hanno avanzato una richiesta procedurale d’urgenza: la sospensione dell’efficacia del provvedimento di allontanamento inaudita altera parte. Chiedono, fuori da ogni tecnicismo, che i giudici intervengano subito, prima ancora di fissare l’udienza di discussione, per interrompere quello che definiscono un trauma in corso per i tre fratelli e per i genitori. La Corte d’appello dell’Aquila ha ora 60 giorni per pronunciarsi, un tempo tecnico che scandisce l’attesa angosciosa di Nathan e Catherine. Questa scadenza è fissata dall’articolo 473 bis 24 del codice di procedura civile.
Il primo affondo della difesa riguarda la forma che si fa sostanza: la lingua. Non si tratta solo di un problema di traduzione, ma di una lesione dei diritti fondamentali sanciti dalla direttiva europea. Nel ricorso si evidenzia come i coniugi, con una conoscenza limitata dell’italiano, non siano stati messi nelle condizioni di comprendere i tecnicismi giuridici che stavano decidendo il loro destino. Senza un interprete e senza la traduzione degli atti, la loro difesa si è ridotta a scritti vergati a mano da Catherine, basati su traduzioni online approssimative e grossolane. Questo vulnus ha impedito quel confronto costruttivo che avrebbe potuto evitare l’escalation, trasformando la confusione in apparente noncuranza.
Il secondo punto smonta la narrazione del “ricatto” sanitario. La richiesta di 50.000 euro per consentire le visite psichiatriche ai figli non era una pretesa economica, ma una garanzia. La difesa spiega che i genitori, non comprendendo la necessità di sottoporre bambini sani a esami che ritenevano invasivi, cercavano di applicare un concetto tipico degli ordinamenti anglosassoni: una polizza fideiussoria a tutela dell’integrità psicofisica dei minori. Se i bambini avessero riportato traumi da quegli accertamenti, qualcuno doveva risponderne. Una diffidenza culturale verso un approccio medico giudicato aggressivo, non un rifiuto delle cure essenziali, tanto che agli atti risulta che i bambini sono stati sottoposti, almeno in parte, alla profilassi vaccinale obbligatoria proprio in Italia.
Sul fronte abitativo, il terzo pilastro del reclamo, la strategia è radicalmente cambiata. Pur contestando l’automatismo per cui l’assenza di agibilità formale equivalga a un pericolo per l’incolumità fisica – tesi supportata da una perizia dell’ingegner Di Muzio che attesta la stabilità dell’edificio – i genitori hanno scelto la via della risoluzione pratica. Hanno presentato la documentazione per realizzare i servizi igienici mancanti, inclusa la fossa biologica, e ampliare gli spazi. Ma il fatto nuovo, decisivo, è la disponibilità immediata a trasferirsi nell’immobile messo a disposizione dal ristoratore Armando Carusi in contrada Portella. Un’alternativa che elimina alla radice ogni contestazione sulla sicurezza ambientale, rendendo di fatto non più attuale l’esigenza di allontanare i minori.
Quarto punto: la scuola. L’accusa di abbandono scolastico viene respinta con prove documentali che attestano un percorso di istruzione parentale pienamente legittimo. La difesa cita la nota del dirigente scolastico dell’istituto comprensivo di Castiglione Messer Marino, che conferma la ricezione della dichiarazione dei genitori per l’anno in corso. Non solo: si produce la certificazione che attesta come la figlia maggiore abbia sostenuto e superato l’esame di idoneità alla classe terza alla Novalis Open School. Non sciatteria, dunque, ma una scelta pedagogica precisa, l’apprendimento autoguidato, che la legge italiana consente se vengono garantiti gli obiettivi formativi.
Il quinto aspetto riguarda l’isolamento sociale, descritto nell’ordinanza come un grave pregiudizio per lo sviluppo dei tre bambini. I legali ribaltano questa visione producendo lettere e testimonianze di chi ha frequentato la famiglia: ne emerge un quadro di tre figli inseriti in un contesto relazionale ricco, a contatto con coetanei e adulti, impegnati nella cura dell’orto e degli animali. Una vita diversa dagli standard urbani, ma non per questo priva di stimoli o affettività.
Infine, il sesto punto tocca il rapporto con i media. La partecipazione al programma Le Iene è stata letta dai giudici come una strumentalizzazione dei figli. La difesa oppone una lettura opposta: non c’era conflitto di interessi né volontà di spettacolarizzazione, ma il tentativo disperato di mostrare la quotidianità di una famiglia unita, che cercava di difendere la propria identità contro pregiudizi e stereotipi. Nessun intento eversivo: solo la volontà di far vedere che dietro le etichette c’erano bambini sereni e genitori amorevoli.
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