Famiglia nel bosco, il sindaco di Palmoli offre ai genitori un’abitazione gratis in paese

Giuseppe Masciulli alla famiglia: «Accettatela e i bimbi potranno tornare con voi in attesa della ristrutturazione del casolare nel bosco. Fatelo per il loro bene»
PALMOLI. Non è stato un blitz, non è stata una decisione improvvisa e, soprattutto, non è una questione di soldi. L’intervento del sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, sul caso della famiglia del bosco ha il sapore di un appello. L’amministrazione mette nero su bianco i fatti, smentendo la narrazione dell’atto di forza e rilanciando una proposta concreta per riunire i tre figli a papà Nathan e a mamma Catherine: un alloggio gratuito in paese.
Sindaco, si è parlato di un fulmine a ciel sereno. Quando vi siete mossi per la prima volta?
«Il Comune di Palmoli si è attivato fin dal giorno dell’incidente per l’intossicazione da funghi velenosi, quel 22 settembre 2024 che ha coinvolto l’intero nucleo familiare. Da quel momento, il nostro unico obiettivo è stato cercare di prevenire gli eventi che avrebbero portato al collocamento in struttura protetta dei minori».
Cosa avete fatto concretamente quando avete capito che quella casa nel bosco non era sicura?
«Appena appreso in via informale delle criticità strutturali ed igienico-sanitarie dell’abitazione, evidenziate nella relazione dei carabinieri, ci siamo attivati individuando e mettendo a disposizione, a nostre spese, un’abitazione nel centro abitato di Palmoli. Parliamo di una casa con tre camere da letto, cucina, soggiorno, due bagni e ripostigli, dotata di tutte le utenze, riscaldamento a metano e caminetto a legna, come è consuetudine nei comuni montani».
La famiglia ha accettato quella sistemazione?
«Sì, al ritorno dall’ospedale l’intera famiglia vi ha abitato per circa dieci giorni. Poi però l’hanno abbandonata per tornare a vivere nella loro proprietà. Bisogna dire le cose come stanno: quella è una ex casa contadina che i nuovi proprietari hanno trasformato successivamente, staccando le utenze, demolendo il bagno interno e mettendo un bagno a secco all’esterno, per adeguarla a modalità di vita rispettose dell’ambiente».
Perché avete insistito tanto con l’offerta dell’alloggio in paese?
«Le nostre intenzioni erano quelle di garantire un alloggio sicuro alla famiglia Trevallion-Birmingham per tutto il periodo necessario alla ristrutturazione dell’edificio in campagna. Ma vorrei precisare un aspetto».
Prego.
«È bene evidenziare un fatto che pochi conoscono: il Comune di Palmoli, come tutti i comuni d’Italia, non ha alcun interesse al collocamento dei minori nelle case famiglia. Anzi. Le spese sono totalmente a carico del bilancio comunale, con rischi di squilibri finanziari che potrebbero portare al dissesto dell’ente. Quindi è molto meglio, sia per il benessere dei minori per i quali l’allontanamento è sempre traumatico, sia finanziariamente, aiutare la famiglia, anche economicamente, a collaborare alla risoluzione delle criticità evidenziate».
E per la scuola?
«Parallelamente avevamo contattato il dirigente scolastico per favorire l’inserimento dei bambini nella scuola statale di Palmoli nella maniera meno traumatica possibile, anche con la compresenza dei genitori in aula. Però, dopo un primo colloquio, la famiglia ha optato per la scuola parentale, legalmente riconosciuta».
Poi però la situazione è precipitata. Cosa è successo dopo quel primo tentativo?
«Successivamente abbiamo saputo che il tribunale aveva evidenziato problematiche serie sulle condizioni dell’immobile e sulla socializzazione dei minori. Era stato predisposto un programma condiviso, ma poi si è bloccato».
È stato tentato un nuovo dialogo?
«I servizi sociali hanno concordato un programma operativo, sottoscritto dai genitori e dal loro avvocato. I patti erano ristrutturare il fabbricato fino all’agibilità, sottoporre i minori alle visite sanitarie previste dalla legge – visto che non avevano un pediatra – e partecipare a incontri settimanali psico-educativi nei locali messi a disposizione dal Comune».
Perché è fallito anche questo accordo?
«Purtroppo la famiglia, dopo aver avviato lavori modesti, non ha inteso partecipare ad alcun incontro e non ha permesso gli accertamenti sanitari. Anzi, ha consegnato ai servizi sociali una comunicazione provocatoria in cui si chiedevano 150.000 euro per le visite mediche dei bambini».
Quanto tempo è passato prima dell’intervento definitivo?
«Dalla data del primo provvedimento del giudice del 23 aprile 2025, a partire dal quale si poteva chiedere il collocamento, sono passati circa sette mesi. Sette mesi durante i quali la famiglia avrebbe potuto e dovuto collaborare con i servizi sociali per l’interesse prioritario che era ed è il benessere dei minori. Siamo arrivati al collocamento in struttura dopo tutto questo tempo e dopo circa 14 mesi dall’infausto avvenimento dell’intossicazione da funghi».
Veniamo a giovedì scorso.
«Il collocamento in struttura non è stato un atto di forza e non si è sviluppato con i carabinieri alla porta di casa. Bensì c’è stata un’attività preparatoria concordata. Prima un incontro in Comune tra me, l’avvocato curatore Marika Bolognese, l’avvocato della famiglia Giovanni Angelucci e il papà dei bimbi, Nathan. Poi un colloquio in caserma, presenti tutti i soggetti e i servizi sociali, dove si è deciso di permettere alla madre di risiedere nella stessa struttura dei bambini».
Come si è svolto il prelievo dei bambini?
«Dopodiché ci si è recati tutti nell’abitazione, restando al di fuori della proprietà, salvo l’avvocato e Nathan. Dopo circa mezz’ora sono usciti con l’intera famiglia. La madre e i bambini sono saliti sull’auto dell’avvocato, Nathan sulla sua. I carabinieri e i servizi sociali seguivano su un’auto civile. L’intervento dei carabinieri non è stato un atto di forza, quindi, ma un servizio di ordine pubblico: i due posti di blocco temporanei, durati circa tre quarti d’ora, sono serviti a tutelare i minori impedendo la spettacolarizzazione dell’evento con foto e manifestazioni di altro genere».
Cosa chiedete oggi alla famiglia?
«L’amministrazione di Palmoli auspica una ricomposizione dei rapporti attraverso una maggiore disponibilità della famiglia, magari accettando di abitare seppure temporaneamente nell’alloggio messo a disposizione a titolo gratuito dal Comune, affinché i minori vengano riaffidati ai genitori: è questo il bene supremo per il quale tutti dobbiamo fare un passo indietro. Così si potrà provvedere gradualmente alla ristrutturazione dell’abitazione, concordando le modalità operative con i servizi sociali per dare soluzione alle altre criticità evidenziate nel provvedimento del giudice».
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