Gli amici della famiglia nel bosco: «Per giorni loro ospiti, è una casa piena d’amore»

23 Novembre 2025

La testimonianza: «Ci ispiriamo a Catherine e Nathan anche per educare i nostri figli, siamo stati attratti dal modo in cui vivono»

PALMOLI. Mentre il cancello della casa famiglia si è chiuso alle spalle dei tre bambini, separandoli dal bosco che è stato il loro unico mondo, un’altra porta si è spalancata. È quella di un archivio di carta e di sentimenti, una raccolta di lettere che raccontano una storia uguale e contraria a quella scritta nel decreto del tribunale per i minorenni dell’Aquila. Se per i giudici la vita di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham era un «grave pregiudizio», un catalogo di privazioni e pericoli, per chi ha vissuto con loro, per chi ha dormito in quel casolare e condiviso il pane e il silenzio, quella casa era un’oasi.

Da Melbourne al Surrey, da Genova a Reggio Emilia, si alza un coro di voci che cerca di coprire il rumore dei provvedimenti giudiziari. Sono amici, parenti, ma anche professionisti, educatori, psicologi che hanno frequentato la contrada di Palmoli e che oggi, davanti al «rudere» descritto dalle perizie, faticano a riconoscere il luogo in cui sono stati accolti. Tra le testimonianze più toccanti c’è quella di una coppia australiana, Daniel e Jessica Jackson. La loro lettera, finita come le altre nel fascicolo del tribunale, è un viaggio nel tempo, riporta al 2021, quando – all’epoca residenti a Tufillo – incontrarono per la prima volta la famiglia Trevallion-Birmingham. Non videro degrado, né abbandono. Videro un modello. «Siamo stati automaticamente attratti dal modo in cui vivevano e da come stavano crescendo i loro figli», scrivono.

Il loro racconto è fatto di immagini semplici, luminose, che stridono violentemente con il buio descritto negli atti giudiziari. Raccontano di pranzi condivisi, di bagni nel fiume, di pomeriggi passati a lavorare la terra. C’è un dettaglio, piccolo ma potente, che descrive la quotidianità di quei bambini ora affidati agli assistenti sociali: «Ci hanno aiutato a preparare il sentiero che scendeva verso l’orto. La figlia maggiore ci ha dato una mano per liberare la passerella, faceva molte domande, ascoltava e comunicava in modo squisito».

Per Daniel e Jessica, quella non era una prigione isolata dal mondo, ma una scuola di vita. I bambini non apparivano come piccoli selvaggi impauriti, ma come «esseri umani brillanti e gentili», frutto di una «presenza premurosa» e «intenzionale» dei genitori. L’impatto di quell’incontro fu tale da cambiare la loro stessa vita: «Ci ha ispirato a mostrare il livello di amore e dedizione a nostro figlio. Parlando dal mio cuore, se tutti avessero genitori come Catherine e Nathan, il nostro mondo sarebbe un posto più bello e più gentile». È una difesa che entra nei dettagli più intimi della vita domestica, provando a smontare l’accusa di scarsa igiene e trascuratezza.

Julie Dingley, un’amica di vecchia data che vive nel Surrey, nel Regno Unito, ha trascorso due settimane a «Casa Amelia» – così chiamano la proprietà – nell’ottobre del 2023. La sua descrizione è quella di un idillio domestico, non di un bivacco di fortuna. Parla di «cibo nutriente e delizioso, preparato al momento ogni giorno», niente cibo spazzatura, niente additivi. E descrive con precisione il rito della sera, quel momento che oggi, nella struttura protetta, è stato sostituito dai protocolli e dalla separazione. «L’ora del bagno, della storia e del letto», scrive Julie. «Vengono lavati e indossano un pigiama pulito, e vanno a dormire, sicuri di sapere che sono a casa, a cui appartengono, e che la loro famiglia è unita. Hanno una buona igiene dentale, vestiti puliti, letti puliti e una casa pulita. Lo so, l’ho visto ogni giorno». Parole che pesano come macigni ora che quei letti sono vuoti e quei pigiami sono stati piegati in una valigia preparata in fretta e furia.

Ma non sono solo impressioni di amici affascinati da uno stile di vita bohémien. A scrivere sono anche professionisti dell’educazione, che hanno osservato la famiglia con occhio tecnico. Nicoletta Manzini e Pietro Rituani, educatori di Reggio Emilia, sono stati ospiti a Palmoli con il loro bambino di soli due mesi. «Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi tutta la cura che i bambini ricevono, sia sul piano materiale (igienico e nutritivo), sia sul piano affettivo», scrivono nella loro lettera del 4 ottobre 2024.

La loro testimonianza tocca un punto nevralgico: la sicurezza. «Ci siamo sentiti pienamente a nostro agio e in piena sicurezza, con il nostro bambino di soli 2 mesi, in quell’ambiente senz’altro semplice ed essenziale, ma pieno di cura». Se quella casa fosse stata il luogo insalubre e pericoloso descritto negli atti giudiziari, si chiedono implicitamente, avrebbero mai portato lì un neonato?

Anche sul fronte dell’istruzione, tra i “capi d’accusa” che hanno portato all’allontanamento, le lettere offrono una prospettiva diversa. Si parla di «elevato livello di conoscenze», di uno studio «scrupoloso e approfondito» da parte dei genitori. Nicoletta e Pietro citano autori internazionali, pedagogisti, studi che Catherine e Nathan avrebbero assimilato per costruire il loro metodo. E ricordano un fatto oggettivo, documentato: «Il superamento del primo esame sostenuto dalla loro primogenita», l’idoneità alla terza elementare ottenuta presso la scuola paritaria.

Rachael Birmingham, psicologa e terapeuta infantile di Melbourne, che ha soggiornato con la famiglia per tre settimane nel maggio 2024, va oltre. Nella sua analisi professionale, non ha riscontrato «alcun segno di abbandono». Al contrario, parla di bisogni soddisfatti a un «livello eccezionale rispetto alla maggior parte delle culture occidentali». E lancia un avvertimento che oggi suona come una profezia dolorosa: «Credo che potrebbe essere dannoso per il benessere emotivo costringerla a frequentare la scuola. Questo causerà la separazione dai suoi fratelli e genitori esasperando la sua ansia».

Le lettere descrivono una comunità che si stringe attorno a un ideale. Davide De Angelis e Miriam Troiano, di San Buono, raccontano di aver vissuto tre giorni con la famiglia, imparando a costruire strumenti musicali con materiali riciclati e osservando la dieta «rigorosamente vegana». Fabrizio Mariani, un altro amico locale, si dice «sorpreso» dalle accuse e sottolinea come il modello educativo dei Trevallion, concentrato sullo sviluppo emotivo, dovrebbe essere «applicato anche nelle scuole pubbliche» per creare un futuro più pacifico.

C’è chi parla di «esseri di luce», come Mara Pelanconi, che descrive i tre bambini come creature «sensibili e coscienti», dotate di una «grande lucidità psichica» rara per la loro età. E c’è chi, come Roberto Zambrenti e Gabriela Steiman di Genova, membri di un’associazione per l’istruzione parentale, definisce l’esperienza a Palmoli «splendida e arricchente», un esempio di vita vissuta con l’essenziale ma in «piena armonia». Sono decine di pagine, scritte a mano o al computer, spedite dall’altra parte del mondo o dal paese vicino. Disegnano il ritratto di una famiglia che non fuggiva dalla realtà, ma cercava di costruirne una migliore. Raccontano di bambini che sapevano interagire, che imparavano le lingue, che conoscevano le piante e rispettavano gli animali. Oggi quelle lettere sono agli atti, mute testimoni di una difesa che non è bastata. Il tribunale per i minorenni ha visto altro: ha visto il rischio, l’assenza di tutele formali, il rifiuto della medicina, l’isolamento.

Ha visto un padre e una madre che, nel tentativo di proteggere i figli dal «sistema», hanno finito per perderli. Resta, fortissima, la dissonanza tra queste due narrazioni. Da una parte la legge, con i suoi codici e le sue garanzie necessarie; dall’altra l’amore testimoniato da chi ha condiviso quel focolare. «Non possiamo in alcun modo pensare che l’intossicazione accaduta possa essere stata qualcosa di doloso», scrivono gli amici da Genova. Ma il dubbio, per la giustizia, è diventato certezza di pregiudizio. E mentre i bambini si svegliano nella loro seconda mattina in una stanza estranea, quelle lettere restano lì, come le foglie cadute nel bosco di Palmoli: tracce di una stagione interrotta in un pomeriggio d’autunno.

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