«I pozzi sono troppo vicini ai rifiuti tossici»

A Montesilvano due grandi alberghi senz’acqua 600 clienti senza doccia e cucina chiusa a cena

PESCARA. L’emergenza idrica adesso mette in ginocchio anche i grandi alberghi di Montesilvano. Ieri Grand Hotel Adriatico e Hotel Ariminium, che insieme contano quasi 600 clienti, sono rimasti con i rubinetti a secco. La crisi è cominciata poco dopo le 19.

Tante le proteste. E pensare che sabato scorso l’Aca ha annunciato di aver immesso nei serbatoi 80 litri al secondo di acqua in più prelevati dall’acquedotto Ruzzo. Questo intervento avrebbe dovuto tamponare le carenze sulla costa, ma così non è stato. I due alberghi sono stati costretti a farsi rifornire dalle autobotti dell’Aca. La cena è avvenuta a buffet. «I serbatoi non fanno in tempo a riempirsi» spiega Adriano Tocco, direttore dell’ Adriatico «restiamo senz’acqua proprio nel periodo di maggiore affluenza turistica».

Intanto non si placano le polemiche sui pozzi di Castiglione a Casauria chiusi per inquinamento. L’Istituto superiore di sanità avverte: «L’esistenza di discariche di rifiuti tossici, in aree a monte delle zone di captazione di acque da destinare al consumo umano, configura una situazione di potenziale pericolo per la salute umana». E’ uno dei passaggi del parere che l’ente ha inviato alla Regione, Asl, prefettura, enti gestori e procura, in merito alla vicenda dei pozzi chiusi.

Il Centro è in grado di rivelare i contenuti di questo documento, sul quale si baserà la decisione del commissario di Bacino di riaprire o no i pozzi. Entro Ferragosto Adriano Goio farà la sua scelta. E’ stata la Regione a sollecitare un intervento dell’Istituto, dopo i dati contraddittori emersi dalle analisi sui pozzi. «PERICOLI PER LA SALUTE». Secondo l’Istituto superiore di sanità, la vicenda dei pozzi è inquietante, perché si trovano vicino a una discarica di rifiuti tossici.

«Tale situazione» si legge nel parere «induce in primo luogo la strutturazione di un adeguato programma di monitoraggio che preveda anche una maggiore frequenza dei controlli al fine di rendere più appropriati e mirati gli interventi a tutela della salute pubblica». L’Istituto fa presente che, sotto il profilo tossicologico, gli studi hanno evidenziato «una sufficiente evidenza di carcinogenicità del tetracloruro di carbonio in animali da laboratorio, ma un’inadeguata evidenza degli effetti nell’uomo». Invece il dicloroetilene, «manifesta effetti di depressione a carico del sistema nervoso, in seguito ad esposizione di tipo professionale a dosi elevate e presenta potenziali effetti tossici a carico di fegato e reni anche per esposizioni a concentrazioni inferiori».

MA NON CI SONO LIMITI. L’Istituto superiore di sanità avverte: per le sostanze pericolose, riscontrate nei pozzi chiusi, non ci sono parametri ufficiali di riferimento. Nessuna legge stabilisce i limiti da non superare. «In merito alle sostanze oggetto di specifica richiesta» prosegue il documento «in assenza di valori di parametro stabiliti dalla normativa vigente, i valori di riferimento devono basarsi sulle conoscenze scientifiche disponibili, tenendo in considerazione, in primo luogo, le indicazioni più aggiornate emanate dal Who (Organizzazione mondiale della sanità, ndr)».

RISCHI DI INFILTRAZIONI. L’Istituto fa presente che «anche i provvedimenti di limitazione delle forniture idriche devono essere valutati, in relazione ai molteplici potenziali rischi per la salute umana che sarebbero provocati da un’interruzione dell’approvviggionamento o da un uso limitato delle acque».

ECCO I RIMEDI. Nel parere vengono suggeriti dei rimedi contro l’inquinamento. «Si precisa» conclude il documento «che l’abbattimento delle sostanze inquinanti nelle acque da destinare al consumo umano può essere efficacemente realizzato mediante idonee procedure di filtrazione su carboni attivi e/o processi di air stripping (evaporazione, ndr). «Questo dimostra che abbiamo ragione a richiedere l’apertura dei pozzi» ha commentato il presidente dell’Ato, Giorgio D’Ambrosio «ora invieremo al Tar questo parere per integrare la documentazione del ricorso contro l’ordinanza di chiusura».