Il giudice lo reintegra, l'ente non lo riassume

Il Consorzio industriale non esegue la sentenza, licenziato il tecnico esponente del Pd

CHIETI. I giudici della Corte di appello hanno negato la sospensiva della sentenza del giudice del lavoro di Chieti, chiesta dal Consorzio industriale di Chieti-Pescara, che obbliga l'ente a riassumere un lavoratore licenziato. Il Consorzio, tuttavia, non solo non ha reintegrato il dipendente, ma non ha pagato neanche le 8 mensilità stabilite dalla giudice Ilaria Prozzo a titolo di risarcimento danni in favore del lavoratore. L'avvocato Enrico Raimondi, che assiste il dipendente, ha così proceduto, sulla base della sentenza, a pignorare le somme - 18mila euro - dovute al lavoratore, al Comune, (pignoramento presso terzi), socio del Consorzio e debitore dell'ente per la propria quota associativa. Nei prossimi giorni lo stesso legale inoltrerà la stessa procedura per le retribuzioni maturate dalla data della sentenza, 27 luglio 2011, fino al 31 dicembre.

La storia riguarda il consigliere comunale del Partito democratico Renato Di Salvatore, architetto, assunto dal Consorzio industriale, nel 2006, con mansioni di tecnico addetto agli espropri e alla conduzione di lavori pubblici. Il contratto di assunzione era a tempo determinato, rinnovato per altre quattro volte, sempre a termine, e fino al 2009 quando il rapporto è definitivamente cessato. Di Salvatore, assistito dall'avvocato Raimondi, ha fatto ricorso al giudice del lavoro e sostenuto che il primo contratto era nullo in quanto a tempo determinato, limite che le diverse leggi di Stato, giurisprudenza, dottrina e direttive comunitarie non consentono di apporre, (se non in specifici casi). La regola del lavoro subordinato è l'assunzione a tempo inderminato, e il contratto a termine costituisce una eccezione e solo quando ci siano esigenze da parte della azienda di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che diano al rapporto di lavoro il carattere di temporaneità.

Dunque, per il consigliere Di Salvatore niente di tutto questo. E lo dimostrano, come fa notare la giudice teatina, le delibere di assunzione. Nella prima il Consorzio motiva l'assunzione «per mancanza materiale di personale» in grado di occuparsi dei procedimenti di esproprio e della difficoltà di procedere all'assunzione a tempo interminato per impossibilità di cambiare la pianta organica. Nella successiva delibera l'ente riconferma la impossibilità di mutare la pianta organica e la necessità di far fronte alle esigenze dell'ente di sostituire un dipendente che si era dimesso. Nelle successive delibere, continua la giudice, le ragioni del ricorso alla stipulazione di contratto a tempo derminato vengono chiaramente spiegate nella necessità di far fronte a pensionamenti, aspettative e dimissioni di personale in servizio. «Risulta con evidenza» scrive la dottoressa Prozzo, «che il Consorzio ha provveduto all'assunzione del ricorrente (Di Salvatore ndr) con diversi contratti a tempo derminato per soddisfare esigenze stabili e non temporanee, in quanto le diverse assunzioni sono state tutte determinate da una cronica carenza di personale a seguito dei pensionamenti. Si tratta di esigenza che non ha nulla di temporaneo», alla quale il datore di lavoro «avrebbe dovuto far fronte con una assunzione a tempo indeterminato, tipologia contrattattuale che rappresenta la regola».

A sostegno della sentenza, la giudice porta una serie di leggi, dal decreto legislativo numero 368 del settembre del 2001 che, in attuazione della direttiva comunitaria 1999/70 dispone: il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato. La direttiva comunitaria era relativa all'accordo quadro, concluso tra Unice (Union industrial and employers), Ceep (associazione delle imprese e delle organizzazioni con partecipazione pubblica) e Ces (Confederazione europea sindacati), sul lavoro a tempo derminato, fondato sulla predeterminazione di ipotesi tassative in cui era consentita l'apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro, questo per «migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del principio di non discriminazione, nonché di prevenire gli abusi risultati dall'utilizzazione dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi». Insomma non un grimaldello alla flessibilità nel mercato del lavoro, ma la definizione di una disciplina per evitare gli abusi. Quelli di cui, secondo la giudice, è stato vittima il consigliere comunale del Pd che ha dovuto «rimpiazzare» colleghi andati in pensione o dimessisi, situazione che non ha niente di temporaneo.

Inoltre la pervicacia apparentemente immotivata del Consorzio a non voler riassumere Di Salvatore è dimostrata dal fatto che ora l'ente paga due consulenti (un ex dipendente in pensione e un altro professionista) ai quali ha affidato gli stessi compiti che svolgeva Di Salvatore. Il Consorzio preferisce rischiare procedure esecutive e pagare professionisti esterni pur di non riassumere il consigliere del centrosinistra.

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