L’intelligenza artificiale contro l’Alzheimer 

Lo studio della d’Annunzio: «Così è possibile diagnosticare in anticipo la malattia neurodegenerativa»

CHIETI. L’intelligenza artificiale può aiutare a predire l’Alzheimer. Lo svela uno studio che vede protagonista l’università d’Annunzio, una ricerca appena pubblicata dal “Journal of Alzheimer's Disease” che potrebbe aprire nuove strade nella diagnosi del morbo di Alzheimer. La cura della grave malattia neurodegenerativa che ruba memoria e identità ai pazienti vede dunque aprirsi nuovi scenari. Lo studio si è avvalso di strumenti di intelligenza artificiale per identificare soggetti in una fase di transizione da una condizione di smemoratezza benigna e senza effetti sulla vita di tutti i giorni e le prime insidiose fasi della demenza di Alzheimer. Lo studio, condotto dai ricercatori delle università d’Annunzio, di Essex e della California-Irvine, ha utilizzato un’estesa banca dati internazionale che raccoglie informazioni su migliaia di pazienti affetti da demenza e un modello di Machine Learning messo a punto da una squadra di giovani romani della start up Asc27. Lo studio è coordinato dal professore Stefano Sensi, direttore del Dipartimento di neuroscienze, imaging e scienze cliniche della d’Annunzio, dal Cast e dall’Itab dell’ateneo dannunziano. «L’algoritmo che abbiamo messo a punto insieme ad Asc27», spiega Sensi, «è andato ad analizzare centinaia di dati di risonanza magnetica cerebrale, neuropsicologici, liquorali ed ematici raccolti da una coorte di centinaia di pazienti presenti nel database internazionale dell’Adni (Alzheimer Disease Neuroimaging Initiative). L’obiettivo era cercare di capire quali di questi fattori avesse più peso per allenare la macchina nell’identificare chi fosse destinato ad avviarsi alla demenza. La sorpresa è stata che l’intelligenza artificiale, con un approccio che si muove senza ipotesi a priori e dunque senza i “pregiudizi” dell’intelligenza umana, ha evidenziato delle associazioni fra variazioni di fattori extra-cerebrali come per esempio i livelli di alcuni acidi biliari e altri metaboliti e la possibilità di processi neurodegenerativi. Si apre dunque un aspetto ancora largamente inesplorato che vede meccanismi di malattia che risiedono all'esterno del cervello». (a.i.)
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