La crisi, Acs chiude in Abruzzo: i lavoratori protestano sul tetto

14 Settembre 2013

I 23 operai dell’indotto Sevel contro la delocalizzazione della azienda da Atessa a Cassino. Solidarietà dei sindaci di Atessa e Paglieta

ATESSA. Hanno deciso di tentare il tutto per tutto e salire sul tetto della loro fabbrica alcuni dipendenti dell'Acs, azienda dell'indotto Sevel che ha annunciato di voler delocalizzare a Cassino già dalla metà del prossimo mese. I dipendenti promettono che non scenderanno dal tetto del capannone finché non riusciranno ad avere un incontro con la direzione aziendale. E si va avanti da giorni con la protesta Acs, una vertenza che ora dopo ora si fa sempre più drammatica. La produzione è ferma da oltre una settimana. I 23 operai a rischio licenziamento hanno deciso di incrociare le braccia per tentare ciò che a tutti oggi sembra impossibile: salvare la fabbrica e 23 posti di lavoro. «Non è vero che si sapeva già da mesi che l'azienda avrebbe delocalizzato», contesta un operaio, «qui il lavoro c'è e le macchine possono tornare a produrre fin da subito. Ci stanno scippando il lavoro e noi non lo permetteremo».

L'Acs produce spugne per l'imbottitura dei furgoni Ducato realizzati in Sevel, a pochi chilometri dallo stabilimento. Il direttivo però ha deciso di trasferirsi a Cassino dove ha sede anche la proprietà.

«Quando abbiamo sottoscritto i contratti di solidarietà» interviene Davide Labbrozzi, Fiom-Cgil , «l'azienda si era impegnata a rilanciare e potenziare lo stabilimento, cosa che non è mai avvenuta».

Sotto il capannone dell'Acs, la cui produzione è ospitata nello stabilimento della Clersud, c'è un presidio permanente di operai. Si alternano anche mamme con bambini. Ognuno fa quello che può per salvarsi il futuro. A dare il loro sostegno sono arrivati anche i sindaci di Paglieta, Nicola Scaricaciottoli, e di Atessa, Nicola Cicchitti. «Siamo molto preoccupati», commenta Scaricaciottoli, «il futuro di questo territorio dovrebbe essere nel distretto di fabbriche specializzate nell'automotive e invece si delocalizza. Invece che puntare a fare squadra e ad essere competitivi si sta scegliendo la strada più breve, ma anche la più tragica per questa valle».

Il fatto che l'Acs delocalizzi, per la Val di Sangro e le sue migliaia di lavoratori suona come un vero e proprio campanello d'allarme. Se nemmeno la Fiat e il suo colosso Sevel, la più grande fabbrica per veicoli commerciali leggeri d'Europa, riescono a tenere stretto il loro indotto significa che i prossimi anni potrebbero trasformarsi in una catastrofe, economica e sociale. «Sono deluso e amareggiato da questa situazione», interviene il sindaco di Atessa, «questa azienda prima ha spogliato e sfruttato il territorio e ora decide di andarsene come niente fosse».

La speranza è riposta anche nella Fiat. «Qui abbiamo dato aiuto e ospitalità ai tanti lavoratori del Torinese e dell'area di Pomigliano quando le cose per loro andavano male», prosegue Cicchitti, «ora è il nostro turno e sembra che a nessuno importi. Da tempo spingiamo la Fiat a creare un indotto specializzato. Gioverebbe a tutti: si riducono i costi di trasporto e si crea lavoro in questa valle».

Daria De Laurentiis

©RIPRODUZIONE RISERVATA