La droga da Milano nel Chietino: un carico a settimana da 60mila euro e soldi riciclati. In 57 rischiano il processo

Maxi inchiesta del Ros. L’Antimafia: «Due abruzzesi facevano parte del gruppo criminale». Il terminale preciso nella nostra regione era Fossacesia
CHIETI. Viaggi continui, sull’autostrada che da Milano scende verso la costa adriatica. Spostamenti che, raccontano le indagini dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros), univano la base operativa di Rozzano, periferia sud meneghina, con un terminale preciso in Abruzzo: Fossacesia. Da Rozzano partivano i carichi di droga; da Fossacesia tornavano indietro i soldi, decine di migliaia di euro, che venivano poi gestiti, e in parte riciclati, da un altro abruzzese strategicamente posizionato nel Comasco.
È uno spaccato che lega saldamente il Chietino all’hinterland lombardo quello che emerge da una complessa inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano con ben 115 capi d’accusa. Al centro del capitolo che coinvolge la provincia di Chieti ci sono due uomini: Angelo Di Giuseppe, 32 anni, nativo di Guardiagrele e residente a Fossacesia, e Simone Martelli, 34 anni, originario di Lanciano e formalmente residente a Cassina Rizzardi, in provincia di Como. Entrambi sono accusati di associazione per delinquere, finalizzata al traffico di droga, con le aggravanti del numero superiore a dieci persone e della disponibilità di armi da sparo, «al fine di farne uso per dirimere controversie interne, con gruppi criminali e con eventuali delatori», scrivono il procuratore aggiunto Alessandra Dolci e i sostituti Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco.
I nomi di Di Giuseppe e Martelli compaiono nella richiesta di processo, nei confronti di 57 persone, che ruota attorno a un presunto sodalizio criminale radicato nel quartiere popolare Aler di Rozzano. Un gruppo che la procura ritiene facesse capo a Walter Pagani, detto Chicco, morto nel 2022, definito negli atti il «capo, il promotore, l’organizzatore e il coordinatore», un uomo, sostengono i magistrati, di «indiscutibile caratura criminale», capace di «imporre il rispetto delle regole». Un rispetto ottenuto anche con la violenza: le carte menzionano come Pagani abbia «esautorato» un altro affiliato per un presunto «sgarro», facendolo oggetto di un «vero e proprio pestaggio».
Il braccio destro di Pagani era Luigi Ruggiero, 38 anni, l’«organizzatore e il coordinatore del braccio operativo». Era Ruggiero a gestire la logistica del narcotraffico: le auto, le numerose schede sim fittiziamente intestate e i garage per lo stoccaggio, come quello in via Pisacane a Rozzano. In questa struttura, ai due abruzzesi la procura attribuisce ruoli distinti ma perfettamente integrati. Di Giuseppe non sarebbe stato un semplice cliente: è qualificato come «partecipe» al sodalizio. La sua funzione, contestano i pubblici ministeri, era quella di «stabile e continuo acquirente di ingenti partite di droga». Droga che Di Giuseppe provvedeva poi a rimettere sul mercato «all’interno della piazza di spaccio da lui gestita» a Fossacesia fino ad aprile 2020. È lui, dunque, il terminale sulla costa.
Più sfaccettata la posizione di Martelli, considerato «partecipe» all’associazione, ma con un doppio incarico cruciale. Da un lato, si sarebbe occupato dello spaccio «al dettaglio» nel Comasco, anche di cocaina. Dall’altro, e ben più rilevante per il canale abruzzese, avrebbe svolto un compito finanziario.
L’asse tra la Lombardia e Fossacesia è descritto in modo dettagliato nell'ipotesi accusatoria principale. La procura contesta a Di Giuseppe e Martelli, in concorso con i vertici milanesi (Ruggiero, Adamo Vicari, Francesco Manfredi e Giovanni Borsellino), di aver organizzato un rifornimento «settimanale» e «consistente» di stupefacenti destinati proprio a Di Giuseppe. Le cifre annotate dagli inquirenti danno la dimensione del traffico: 60.000 euro a settimana. Vengono citate, ad esempio, due forniture specifiche – una da 25.000 euro di marijuana e l’altra da 20.000 – che Di Giuseppe avrebbe ricevuto per poi rivendere. La logistica di questo canale era precisa. Ruggiero, il capo operativo, «forniva lo stupefacente e coordinava le operazioni». Vicari e Manfredi «si occupavano delle consegne materiali». Martelli «partecipava all’organizzazione delle consegne» di marijuana, chiamata in codice «origano». Il tutto sotto l’occhio di Borsellino, che «supervisionava le attività di Martelli». Se le consegne di droga viaggiavano verso sud, il denaro tornava a nord. E c’era un uomo incaricato della riscossione. L’esattore designato per l’Abruzzo era, sempre secondo l'accusa, Vicari. Gli investigatori hanno documentato i suoi continui spostamenti tra Rozzano e Fossacesia allo scopo di recuperare ingenti somme di denaro derivanti dalle forniture di droga per Di Giuseppe.
Ma il denaro, una volta raccolto, doveva essere gestito. Qui emerge l’altro ruolo di Martelli: quello finanziario. Avrebbe messo «a disposizione del sodalizio carte prepagate» su cui far confluire i proventi illeciti, occupandosi di fatto del «parziale riciclaggio dei guadagni illegali dell’associazione». Gli atti entrano nello specifico, indicando due carte prepagate, fittiziamente intestate a Martelli. Le carte lo descrivono come gestore dei «rapporti finanziari» per il canale di Di Giuseppe, accreditando la sua piena integrazione nei meccanismi economici del gruppo.
L’inchiesta è ora giunta a una fase decisiva. L’udienza preliminare, fissata dal giudice Mattia Fiorentini, è in programma il prossimo 4 dicembre nell’aula bunker del carcere di Opera. In quella sede, Di Giuseppe e Martelli, difesi dagli avvocati Alessandro Cerella e Alessandro Orlando, dovranno confrontarsi con l’imponente impianto accusatorio della procura di Milano.
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