Palmoli

La metamorfosi silenziosa dei genitori nel bosco: così possono riavere i figli

22 Dicembre 2025

Nell’ordinanza della Corte d’appello la vita cambiata della famiglia Trevallion: dalla prima visita pediatrica a otto anni fino alle richieste dei giudici accettate

PALMOLI. È una metamorfosi silenziosa quella che si è consumata tra i boschi di Palmoli, le aule di giustizia dell’Aquila e la casa famiglia di Vasto, un cambiamento che ha il sapore amaro della necessità e la dolcezza della speranza ritrovata. Nathan Trevallion e Catherine Birmingham hanno dovuto smantellare le proprie certezze ideologiche, pezzo dopo pezzo, per provare a ricostruire l’architettura di una famiglia unita. Agli occhi della legge, e forse anche ai propri, non sono più gli stessi genitori che il 20 novembre scorso videro gli assistenti sociali e i carabinieri salire al casolare per portar via i loro tre figli. La lettura dell’ordinanza con cui la Corte d’appello ha rigettato il reclamo, confermando il collocamento dei minori in comunità, offre una prospettiva duplice. Oltre alla cronaca di un esito giudiziario, il documento rappresenta la certificazione nero su bianco di una conversione profonda, un cambio di rotta che potrebbe presto riportare i bambini a casa.

Scorrendo le 23 pagine del provvedimento firmato dalla presidente Nicoletta Orlandi e dalla relatrice Carla Ciofani, emerge con chiarezza la dicotomia tra il passato e il presente. I giudici hanno cristallizzato la legittimità dell’intervento d’urgenza in una fotografia scattata un mese fa. In quel momento – è la tesi – il quadro era tinteggiato di negligenze che la magistratura non poteva ignorare. Il provvedimento parla chiaro: la misura si era rivelata «necessaria a tutela dei minori, a fronte del fallimento dei tentativi in precedenza posti in essere», configurando una situazione di rischio concreto. Per comprendere la portata di tale rischio, occorre tornare a quell’estate in cui il muro di diffidenza sembrava invalicabile. L’ordinanza ricorda infatti che i minori (la figlia maggiore di otto anni e i due gemelli di 6), «inizialmente privi di un medico di base, hanno effettuato la prima visita pediatrica il 24 luglio 2025» e che, appena una settimana dopo, il 31 luglio, «i genitori hanno rappresentato al servizio sociale la contrarietà all’effettuazione degli ulteriori accertamenti richiesti dalla pediatra».

Era questo il clima di chiusura che aveva allarmato le istituzioni, un atteggiamento tradottosi in conseguenze fisiche tangibili. Tra le righe, come un monito, i giudici citano un dato clinico ritenuto significativo: «La minore al momento dell’inserimento in casa famiglia era affetta da bronchite acuta con broncospasmo non segnalata e non curata dai genitori». È il dettaglio che illumina il “prima”: una gestione della salute fondata – per l’accusa – su convinzioni personali che aveva generato una «mancanza di cure» e che, sommata alla «deprivazione della socialità subita sino ad allora», aveva reso inevitabile l’intervento dello Stato per «garantire la loro salute» e offrire un «ambiente accudente».

Oggi quel muro sembra crollato sotto il peso della lontananza. Il dialogo dei genitori con le istituzioni ha prodotto risultati tangibili, elencati anche dai giudici di seconda istanza. L’ordinanza dà atto che «sono in corso in primo grado i necessari approfondimenti e verifiche a fronte degli apprezzabili sforzi di collaborazione compiuti dai genitori dopo l’allontanamento dei minori». L’atteggiamento di Nathan e Catherine è mutato radicalmente. L’opposizione mostrata quel 31 luglio ha lasciato il posto all’«auspicio di un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato avverso gli interventi e le offerte di sostegno».

Questo costituisce il primo passo della conversione: l’accettazione che la salute dei figli necessita della tutela della scienza medica, come dimostra la disponibilità a sottoporre i tre fratellini a tutte le visite necessarie e a completare i cicli vaccinali, superando quella «situazione di danno in capo ai minori derivante dalla impossibilità di svolgere tutti gli accertamenti» che la Corte aveva stigmatizzato. Anche lo scenario materiale è stato ridisegnato. Il rudere di pietra e legno, privo dei requisiti minimi, è stato sostituito. L’ordinanza prende atto che la coppia ha sottoscritto un contratto per una nuova abitazione, quella messa a disposizione da Armando Carusi.

Tale elemento è la prova che i genitori hanno compreso la necessità di offrire ai figli un ambiente che risponda ai canoni di sicurezza richiesti. Nelle motivazioni si legge come le precedenti condizioni fossero caratterizzate da criticità tali da richiedere un intervento, mentre ora si guarda a una soluzione abitativa idonea. Le «sopravvenienze verificatesi dopo l’adozione del detto provvedimento» – come le definisce la Corte – dovranno essere ora «rappresentate al giudice del merito», l’unico con il potere di trasformare questi cambiamenti in un provvedimento di riunificazione.

Il documento della Corte d’appello, pur nel rigore del rigetto, è disseminato di aperture giuridiche che sottolineano la natura transitoria della separazione. I giudici evidenziano con forza che le misure adottate dal tribunale per i minorenni hanno natura di «provvedimenti temporanei e urgenti», i quali sono, per definizione codicistica e giurisprudenziale, «modificabili e revocabili» in ogni momento, qualora le condizioni di rischio vengano meno. E le condizioni stanno venendo meno, grazie alla volontà dei genitori di scendere a patti con la realtà. La Corte rimanda dunque al giudice di primo grado la valutazione di questi nuovi elementi, specificando che spetta al tribunale verificare se l’attuale contesto familiare sia divenuto idoneo.

Un altro tassello fondamentale riguarda l’istruzione e la socialità. L’accusa di aver segregato i figli dal mondo è stata affrontata con i fatti. L’unschooling ha lasciato il posto a una scelta più rassicurante: i genitori hanno manifestato la disponibilità ad attivare percorsi educativi strutturati, accettando supporti esterni per scongiurare quel pregiudizio educativo evidenziato nella prima fase. Sulle relazioni sociali la difesa ha giocato una carta importante, dimostrando con documentazione fotografica che i bambini non vivevano in una bolla ermetica, ma frequentavano altri minori in contesti di serenità.

La Corte, in tal senso, scrive: «Va ribadita l’importanza che rivestono l’assidua frequentazione e il costante confronto con i pari (in un contesto sociale anche allargato rispetto al gruppo costituito dal nucleo familiare e dai pochi soggetti estranei che sporadicamente lo frequentano), quali fattori imprescindibili per lo sviluppo, specie in età evolutiva, della personalità del minore e per lo svolgersi di un corretto ed equilibrato percorso di costruzione della propria identità e autonomia, percorso sicuramente bisognevole di stimoli ed esperienze funzionali alla crescita».

Ma questo percorso di riavvicinamento non è privo di ostacoli. L’ordinanza tocca un punto delicatissimo: l’ascolto dei minori, che dovrà essere necessariamente ripetuto. Il precedente ascolto era stato «eseguito alla presenza della madre che ha collaborato anche all’interpretazione delle dichiarazioni dei figli che non avevano una buona conoscenza della lingua italiana». Una modalità che la Corte ritiene di dover superare per garantire la genuinità del dettato dei piccoli.

L’atto «dovrà essere rinnovato con la partecipazione di un interprete e all’esito della maturazione delle condizioni che consentano ai minori di esprimersi liberamente al riparo da potenziali condizionamenti dei genitori o delle altre controparti». C’è il timore che le parole dei piccoli possano essere state filtrate, e la giustizia vuole assicurarsi che la loro voce sia limpida. In questo passaggio tecnico si nasconde un principio di civiltà giuridica ribadito con forza solenne: «Va anche evidenziato che l’ascolto dei minori non è affatto un atto istruttorio, ma un diritto del minore». Un diritto da esercitare nella piena libertà e «attraverso il quale è assicurata la libertà di autodeterminarsi e di esprimere la propria opinione».

La conversione dei genitori, intesa come cambiamento di rotta interiore ed esteriore, è dunque compiuta nelle intenzioni e nei primi atti concreti. Ora manca l’ultimo miglio. La Corte d'appello ha rigettato il reclamo perché al momento dell’emissione dell’ordinanza «sussistevano i presupposti» per l’intervento, data la gravità della situazione sanitaria e abitativa allora riscontrata. Eppure ha lasciato socchiusa la porta del domani, riconoscendo che i Trevallion di oggi sono diversi dai Trevallion di ieri. Hanno accettato i vaccini, hanno accettato una casa vera, hanno curato le malattie. Hanno sacrificato la loro utopia anarchica sull’altare dell’amore genitoriale. Nathan e Catherine attendono ora che il tribunale per i minorenni prenda atto che quel “prima” non esiste più, è stato superato. La loro rivoluzione oggi non è più vivere nel bosco secondo le proprie convinzioni, ma vivere nel mondo, con le sue regole, pur di riavere i tre figli fra le braccia.

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