La procura blocca i funerali del giornalista morto a Chieti

17 Marzo 2016

Simone Daita muore un anno dopo il pestaggio: la Mobile sequestra le cartelle cliniche a Villa Pini, Pescara e Popoli

CHIETI. Da lesioni gravi a omicidio preterintenzionale: la procura blocca i funerali di Simone Daita, il giornalista di 54 anni morto un anno dopo il pestaggio in piazza Vico, e ordina alla Squadra mobile di acquisire le cartelle cliniche della vittima compilate nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Pescara, a Villa Pini e a Popoli, dove Daita è stato ricoverato nei suoi dodici mesi di calvario. Infine, il magistrato che conduce l’inchiesta ha dato un nuovo incarico al medico legale Cristian D’Ovidio, docente della D’Annunzio, da cui dipendono gli sviluppi dell’inchiesta.

Il pm Giuseppe Falasca infatti ha chiesto ieri mattina al suo consulente medico di stabilire se c’è un nesso di causa ed effetto tra i due pugni devastanti, ricevuti da Daita nella notte tra il 28 febbraio e il primo marzo del 2015 in centro storico a Chieti, e la sua morte sopraggiunta mercoledì sera nel reparto di Rianimazione di Pescara dove il giornalista era stato trasferito, da Villa Pini, per la comparsa di una grave infezione una decina di giorni prima.

[[(standard.Article) Chieti, giornalista muore un anno dopo il pestaggio

Se c’è nesso tra i due pugni e la morte, l’atto successivo sarà l’invio, all’unico indagato per lesioni con danni permanenti, Emanuele D’Onofrio, 24 anni di Chieti, di un secondo avviso di garanzia, questa volta però con un’ipotesi di accusa molto più grave, cioè di omicidio preterintenzionale. Se però D’Ovidio non dovesse trovare quel nesso, l’inchiesta si sposterà anche sull’operato dei medici, e degli infermieri, che in tutti questi mesi hanno assistito il 54enne di Chieti, per accertare eventuali colpe professionali. In questo secondo caso, però, l’inchiesta rischia di precipitare in un labirinto di ipotesi da cui non sarà facile uscire. D’Ovidio diventa così il personaggio chiave per capire quale strada imboccherà uno dei fatti più tragici, cruenti e allarmanti mai accaduti a Chieti negli ultimi anni. D’Ovidio potrà farlo semplicemente studiando, anzi ristudiando, le cartelle cliniche acquisite ieri dalla polizia oppure, ed è la soluzione più probabile, attraverso l’autopsia su Simone Daita, il cui funerale è bloccato proprio per questo motivo.

Ma una cosa è certa: la morte del giornalista teatino fa ripartire un’inchiesta che, secondo indiscrezioni, si sarebbe chiusa definitivamente proprio questa settimana con la richiesta di rinvio a giudizio di D’Onofrio per lesioni e danno insanabile e con un macroscopico dubbio rimasto in piedi anche oggi che Daita non c’è più.

Quanti pugni e quante persone, quella notte di un anno fa, lo hanno ridotto in fin di vita? D’Ovidio, nella sua prima consulenza, ha scritto che il giornalista è stato sicuramente raggiunto da due o più pugni. Lo ha dedotto sostanzialmente in base al numero e alla posizione delle fratture e le microfratture che la vittima presentava sul volto e sulla nuca. Ma il giovane indagato D’Onofrio, nell’interrogatorio reso in procura sempre un anno fa, dopo aver confessato di aver colpito Daita, a suo dire per difendersi da una presunta aggresione del giornalista, ha anche precisato di aver sferrato un solo cazzotto.

La sua confessione quindi non combacia con le conclusioni del medico legale. A meno che sulla scena non compaia un complice, ma non spetta a noi dirlo. Non resta che attendere gli sviluppi e rispettare il dolore dei genitori, del fratello e delle sorelle di Simone.