La solidarietà di Palmoli alla famiglia: «Io, nato nel bosco: vi do la casa»

L’appello del ristoratore Armando: «State qui, vogliamo vedervi di nuovo uniti»
PESCARA. Il caso della famiglia che viveva nel bosco di Palmoli ha acceso dibattiti e smosso le coscienze. Dopo l’allontanamento dei tre bambini, opinionisti e commentatori si sono moltiplicati, in tv e sui social, dividendosi tra chi difende lo stile di vita scelto dai genitori, chi invoca la libertà individuale e chi invece approva l’intervento delle autorità. Tra questi, c’è anche chi ha deciso di offrire un aiuto concreto per favorire un possibile ricongiungimento familiare. È il caso di Armando Carusi, ristoratore di Ortona, nato e cresciuto proprio a Palmoli. Armando, infatti, non ci ha pensato due volte: ha alzato il telefono e ha chiamato l’avvocato della famiglia. «La casa gliela do io», ha detto. E al Centro ha voluto ribadire quello che per lui è «l’unico aiuto che posso offrire a una famiglia distrutta».
Armando, come gli è venuta l’idea di mettere casa sua a disposizione?
«Io sono nato a Palmoli e anche io, come i tre bambini, fino a quattro anni ho vissuto in un rudere in mezzo al bosco senza acqua e luce. Quando ho letto della notizia dell’allontanamento, qualcosa mi ha toccato il cuore. Ero insieme a mia figlia ed entrambi abbiamo pensato che metterci a disposizione fosse la cosa migliore da fare».
Quindi la casa che offre è la stessa dove è cresciuto?
«Sì. Naturalmente negli anni l’ho ristrutturata. Oggi è una casa vacanze che affitto a chi vuole vivere un’esperienza nella natura e nel silenzio totale».
Perfetta per lo stile di vita che conducono i coniugi Trevallion-Birmingham.
«Esatto, questo è l’aspetto che ha convinto me e mia figlia. La casa che ho io è immersa in un bosco, poco lontano a quello dove prima abitava la famiglia. Ha una stalla per gli animali, l’orto, le piante. Ha perfino una cava di fossili perché è stata costruita vicino a un vecchio costone».
E loro come mai non hanno accettato?
«Questo non lo so. Io ho chiamato l’avvocato e gli ho fatto la mia proposta: ospitarli gratuitamente fino al termine dei lavori di ristrutturazione del loro rudere».
E come le hanno risposto?
«Al telefono erano molto contenti, sia l’avvocato che Nathan. Io avevo il desiderio di conoscerli per mostrargli la casa e ci siamo accordati per incontrarci. Poche ore prima dell’appuntamento, però, l’avvocato mi ha chiamato per dirmi che Nathan non sarebbe venuto e che tutto era rinviato. Per precauzione, io ho chiamato il sindaco e gli ho fatto sapere che, volendo, casa mia era a disposizione».
Anche il Comune ha messo a disposizione una casa, lo sapeva?
«Sì. Per questo credo che Nathan, in questo momento già molto confuso e combattuto, non sia venuto all’appuntamento. E credo non sia andato a vedere neanche la casa che gli ha proposto il Comune. Ma, come mi ha detto anche il sindaco, la speranza è che la famiglia torni sui suoi passi e accetti di trasferirsi in una delle due abitazioni».
Quindi la sua proposta rimane valida?
«Assolutamente. Come ho già detto, quello che voglio è aiutare la famiglia a ricongiungersi con i figli e a vivere tranquillamente. Se dovesse essere a casa mia, io sarò solo più felice».

