Michele, la confidenza prima del delitto: «Il mio compagno mi picchia, ho paura» 

Qualche giorno prima della tragedia, la vittima ha raccontato a un’amica le violenze alle quali la sottoponeva il convivente: «Mi ha provocato dei lividi, è meglio che io resti a casa tua». E per cinque notti la 66enne ha dormito lontano da lui

CASOLI. Michele Dawn Faiers aveva paura. Qualche settimana prima di essere uccisa con sette coltellate alla schiena nella villetta di Casoli, la donna inglese di 66 anni si era confidata con l’amica Petrina Helen Keay, svelando le violenze alle quali la sottoponeva il compagno, il 74enne connazionale Michael Dennis Whitbread. Quello stesso uomo che, il 28 ottobre, si è trasformato in un assassino così spietato da sorprenderla alle spalle in camera da letto e trafiggerla con una lunga lama, prima di togliersi i vestiti sporchi di sangue, indossare gli indumenti puliti, fuggire in auto e tornare in Inghilterra, a casa della figlia a Shepshed, vicino a Leicester, dove è stato arrestato il 1° novembre, poche ore dopo il ritrovamento da parte di Petrina del cadavere coperto dal killer con un lenzuolo bianco, come nell’infantile tentativo di nascondere un orrore senza fine.
Viveva nel terrore, Michele. E aveva avvertito la necessità di togliersi il macigno che aveva dentro, condividendo la sua angoscia con una donna che, come lei, aveva deciso di lasciare il Regno Unito e vivere nel tranquillo Abruzzo, sotto la Maiella, un posto in cui l’aria è buona, i colori della campagna sono stupendi e il caos della città sembra lontano anni luce. La seconda vita di Michele aveva come scenario contrada Verratti, quella di Petrina Palombaro: si vedevano spesso, perché appena una dozzina di chilometri le separava. E, proprio durante una di quelle chiacchierate, Michele non ce l’ha fatta più. Ha vuotato il sacco. Ha raccontato dei litigi sempre più frequenti e delle botte. Ha mostrato i lividi delle discussioni sfociate in prevaricazione fisica. Lui la picchiava e lei temeva che potesse succederle qualcosa di grave. Qualcosa di talmente brutto da spingerla a chiedere ospitalità a Petrina. E lì, nella casa di Palombaro di contrada Laroma, ambienti eleganti e un bel giardino, è rimasta a dormire per cinque notti.
Una circostanza che aveva attirato l’attenzione della folta comunità inglese: un po’ tutti, nella cerchia di amicizie e conoscenze, avevano intuito come qualcosa non andasse in quella coppia. Ma denunce alle forze dell’ordine non sono state presentate e Michele ha deciso di tornare nell’abitazione a due piani di contrada Verratti. Perché forse, pur essendo spaventata per gli atteggiamenti del compagno, mai avrebbe immaginato che l’uomo con cui aveva deciso di ricominciare dopo la separazione potesse tramutarsi in un killer.
Whitbread resta nel carcere di Wandsworth, a Londra: qui è stato rinchiuso sabato pomeriggio, dopo la prima udienza per l’estradizione davanti alla Westminster Magistrates’ Court. L’assassino ha negato il suo consenso, sostenendo di non voler essere processato in Italia, dove i carabinieri – coordinati dal procuratore Mirvana Di Serio – hanno raccolto una serie di indizi che lo inchiodano alle sue responsabilità e che hanno spinto il giudice Chiara D’Alfonso a firmare l’ordinanza di custodia cautelare.
Giovedì prossimo l’indagato comparirà di nuovo davanti ai giudici inglesi, che prenderanno una decisione definitiva sulla richiesta di estradizione entro il 26 febbraio 2024. Dalle parole dell’avvocato di Whitbread, pronunciate nell’udienza di due giorni fa, emerge chiaramente che il 74enne tenterà di professarsi innocente. «Quando è stato arrestato», ha detto il legale, «Whitbread era nel Regno Unito solo perché era andato a trovare la famiglia e aveva un biglietto di ritorno per l’Italia», è la tesi sostenuta lungo la strada, decisamente in salita, che porta a una difesa convincente.
©RIPRODUZIONE RISERVATA