Rolex, gioielli, argenteria e soldi: ritrovato il bottino della banda

13 Ottobre 2025

Due ladri sono ora in carcere, accusati di furto in abitazione, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Recuperati nell’auto preziosi e banconote per 35mila euro, già riconsegnati ai legittimi proprietari

CHIETI. Per settimane sono stati un’ombra, l’incubo che ha tolto il sonno a due province, quelle di Chieti e di Pescara. Erano una banda di cinque uomini che colpiva le case con precisione chirurgica, lasciando dietro di sé solo rabbia e frustrazione. Si muovevano su una Mercedes Gla, convinti di essere invincibili. Ma la loro corsa è finita sabato sera, sull’asfalto della Tiburtina, all’altezza di Dragonara. E da quella sera, due di loro hanno un nome e un volto: sono Daribor Jovanovic, 40 anni, e Denis Mijailovic, 25 anni. Dentro la loro auto, al momento della cattura da parte dei poliziotti della squadra volante di Chieti, c’era l’arsenale del mestiere, una mola per sventrare casseforti, e il bottino dell’ultimo giorno di lavoro: un tesoro da 35.000 euro in Rolex, altri orologi di marca, oro, argenteria e denaro, razziato in due abitazioni a Collecorvino e Chieti Scalo.

La caccia si è conclusa con i loro due arresti, mentre per altri tre complici è ancora aperta. Per Jovanovic e Mijailovic, entrambi serbi e con precedenti per reati contro il patrimonio, la notte è finita – su disposizione del pubblico ministero Giancarlo Ciani – nel carcere di Madonna del Freddo. Le accuse sono pesanti: furto in abitazione aggravato, resistenza e lesioni personali a pubblico ufficiale. Nelle prossime ore è attesa l’udienza di convalida. E mentre l’indagine prosegue per dare un nome ai tre fuggitivi, c’è un altro pezzo di questa storia che si è già chiuso. L’intero bottino, quei 35.000 euro di preziosi e ricordi, è stato recuperato e riconsegnato ai legittimi proprietari. Un atto di restituzione che non cancella la violenza subita, ma che restituisce un pezzo di normalità a chi se l’era vista strappare via.

Questo è stato l’epilogo di una notte iniziata in viale Unità d’Italia. Una pattuglia della volante, coordinata dal sostituto commissario Andrea D’Angelo, è impegnata in un normale servizio di controllo del territorio. Gli agenti hanno l’occhio allenato, riconoscono quell’auto, la stessa segnalata da giorni. Intimano l’alt. La risposta è un rombo di motore. Il conducente della Mercedes schiaccia il piede sull’acceleratore e la sfida ha inizio. I cinque a bordo non hanno alcuna intenzione di arrendersi e mostrano una spregiudicatezza assoluta, un disprezzo totale per chiunque si trovi sulla loro strada.

La cronaca di quei minuti è una sequenza di violenza: sorpassi azzardati che costringono gli altri automobilisti a sterzate improvvise per evitare l’impatto, un paletto della segnaletica stradale divelto, una rotatoria affrontata a velocità folle. La loro non è più una fuga, è un assalto alla normalità di un sabato sera.

Il punto di non ritorno viene raggiunto quando, per aprirsi un varco, la Mercedes sperona deliberatamente l’auto che la precede. A bordo c’è una famiglia: un padre, una madre e la loro bambina di cinque anni, la cui unica colpa è di trovarsi lì, in quel momento. L’impatto è violento, la loro macchina viene proiettata fuori strada. Saranno trasportati in ospedale, sotto choc ma fortunatamente non in gravi condizioni fisiche. La corsa della banda, però, non si ferma. La Mercedes, ormai danneggiata, prosegue la sua traiettoria fino a quando non finisce per scontrarsi anche con la volante che la tallona senza tregua.

Lo scontro finale, quello che chiude la partita, avviene all’altezza di Dragonara, nei pressi del casello autostradale di Chieti-Pescara Ovest. Anche un poliziotto rimane ferito: per lui, una prognosi di sette giorni. Le portiere si spalancano e i cinque si lanciano fuori, disperdendosi a piedi. Tre di loro riescono a raggiungere la rete dell’autostrada A14, la scavalcano e si gettano nel buio della carreggiata, scomparendo tra le auto in transito, fantasmi in una notte di paura. Per due uomini la corsa è finita in una cella. Per gli altri tre, la caccia è ancora aperta.

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