Soldi e voti per le cittadinanze: chiesto il processo per due sindaci

14 Dicembre 2025

Di Fabrizio e Di Luca accusati di associazione per delinquere, falso e corruzione. Nei guai altre 6 persone: l’ufficiale d’anagrafe avrebbe ricevuto in cambio anche prestazioni sessuali

LANCIANO. Diventare italiani costava caro. A volte il prezzo era fissato in euro, altre volte in voti per le elezioni comunali. In certi casi, i più scabrosi ricostruiti dalla procura della Repubblica di Lanciano e dai carabinieri della compagnia di Atessa, la moneta di scambio era il corpo. Prestazioni sessuali offerte e ricevute tra una pratica di residenza e un timbro ufficiale. L’inchiesta sulla fabbrica delle cittadinanze in Val di Sangro ha perso ogni tratto di asettica burocrazia per rivelare un sottobosco di squallore amministrativo.

Lunedì 16 febbraio 2026, in un’aula del tribunale frentano, è in programma l’udienza preliminare. La richiesta di processo firmata dal pubblico ministero Miriana Greco trasforma le ipotesi investigative in accuse formali nei confronti di otto persone. Sotto la lente del giudice finirà un sistema che coinvolgeva i vertici politici e amministrativi di Montebello sul Sangro e Borrello, a partire dai rispettivi sindaci. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione per delinquere, corruzione e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico e in certificati e autorizzazioni amministrative.

Al centro della scena, snodo cruciale di tutto il meccanismo, si trova Luciano Nicola Giampaolo. Settant’anni, dipendente storico dell’ufficio anagrafe, operava a scavalco tra i due comuni. La procura gli contesta di aver venduto la propria funzione pubblica. Secondo i capi d’imputazione, l’impiegato ha barattato la regolarizzazione delle pratiche per gli argentini con utilità di ogni tipo. Oltre al denaro contante, l’accusa riporta i rapporti sessuali con Marcela Elena Clavaschino, 59enne argentina indicata come una delle promotrici del traffico. Tra le utilità contestate figura persino il canone di locazione dell’appartamento dell’ex moglie, affittato a cittadini stranieri procacciati illecitamente.

L’inchiesta non risparmia le fasce tricolori. I sindaci dei due paesi rischiano il processo con accuse pesanti. Nicola Di Fabrizio, primo cittadino di Montebello sul Sangro, è qualificato negli atti come «pubblico ufficiale» che avrebbe asservito il proprio ruolo agli interessi dei corruttori in cambio di utilità. Armando Di Luca, sindaco di Borrello, deve rispondere di uno scenario che intreccia il codice penale con la politica locale. Il pm sostiene che Di Luca abbia garantito le residenze fittizie ottenendo in cambio, oltre a somme di denaro, un pacchetto di voti alle elezioni amministrative dell’8 e 9 giugno 2024. Cittadini fantasma, residenti solo sulla carta, sarebbero stati usati per blindare il consenso elettorale.

Il sistema, operativo tra il luglio 2023 e il novembre 2024, sfruttava una falla nei controlli sulla cittadinanza iure sanguinis. La legge permette ai discendenti di avi italiani di richiedere il passaporto, a patto di risiedere in Italia. A Montebello e Borrello questa residenza veniva simulata. Gli indirizzi indicati nei moduli corrispondevano a case vuote, immobili fatiscenti o strutture ricettive legate agli stessi indagati.

Due erano i canali di approvvigionamento, gestiti come vere e proprie filiere commerciali. Il primo gruppo, focalizzato sui sudamericani di origine argentina, faceva capo ad Adrian Mario Luciano, 56 anni, e alla già citata Clavaschino: avrebbe ricevuto in cambio somme di denaro «periodicamente e continuamente», stimate tra i 2.500 e i 5.000 euro per ogni richiedente, utilizzando allo scopo immobili disabitati, all’insaputa dei legittimi proprietari, gli indirizzi degli stessi Clavaschino e Luciano e il bed&breakfast da questi gestito a Borrello.

Il secondo filone, specializzato in richiedenti brasiliani, vedeva al vertice Mauro Paolini, 66 anni, di Villa Santa Maria, insieme a Felipe Leonardo Carrer Cruz e Marco Carrer Cruz, rispettivamente di 26 e 62 anni.

Il meccanismo ideato per garantire l’impunità si basava sulla velocità. Appena ottenuta la cittadinanza grazie alle firme compiacenti di sindaci e funzionari, i neo italiani venivano iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire). Questa procedura permetteva la loro immediata cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente. I paesi tornavano così a svuotarsi sulla carta, evitando che un’esplosione demografica improvvisa in borghi di poche anime facesse scattare gli allarmi della prefettura o dell’Istat. Sono oltre 280 i “fantasmi” che, complessivamente, hanno trovato casa qui. Non si tratta, dunque, di episodi isolati, ma di «un programma criminoso articolato e ben collaudato», finalizzato «ad alterare il regolare svolgimento delle procedure previste dalla legge». Scrivono gli investigatori: «Il tempo di attesa molto ridotto era il principale motivo che spingeva i cittadini sudamericani ad affidarsi agli indagati, considerando che le tempistiche per ottenere la cittadinanza se la domanda è avanzata nel paese d’origine varia in base al consolato con liste d’attesa della durata di diversi anni», anche più di dieci, come nel caso di San Paolo in Brasile.

La procura ritiene di aver ricostruito un quadro probatorio solido, fondato sulle informative dei carabinieri della compagnia di Atessa, depositate tra l’agosto e il novembre 2024. Sono oltre 10.000 le pagine contenute nel fascicolo, comprese numerose intercettazioni telefoniche. Le difese – rappresentate dagli avvocati Paolo Valentino Sisti, Giovanni Carlo Esposito, Diana Peschi, Augusto La Morgia, Roberto Crognale, Sergio Della Rocca e Massimo Galasso – avranno modo di esporre le proprie ragioni, respingere le contestazioni e chiedere riti alternativi nell’udienza di febbraio. Resta la gravità di un’accusa che descrive la pubblica amministrazione come un luogo di scambi inconfessabili, dove la cittadinanza italiana diventava merce per pagare sesso, voti e favori personali.

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