Comunicato Stampa: “Trecento giorni per salvarsi”, un romanzo di pace che chiama per nome chi attraversa il mare

In un tempo di conflitti come quello contemporaneo, l’unico linguaggio che apre passaggi resta quello che chiede la pace. Il romanzo “Trecento giorni per salvarsi” nasce da una storia vera ed è esplicitamente dedicato a tutte le vite che giacciono in fondo al mare, per impedire che i barconi che solcano il Mediterraneo vengano ridotti soltanto a numeri. È un libro che parla ai più giovani e affida a chi legge un compito semplice, ma importante: restare vigili davanti al dolore altrui, riconoscere l’altro e costruire una fiducia reciproca.
“Trecento giorni per salvarsi” romanzo d’esordio del giovane autore Davide Tosto per Europa Edizioni , nasce con il desiderio di diffondere un messaggio di pace e uguaglianza . Non fermarsi ai confini, al contrario creare ponti e cercare nuovi orizzonti. La voce dell’autore mette in campo la propria motivazione in modo nitido: il pensiero sul razzismo e sui suoi effetti attraversa le sue giornate e si condensa in una necessità di scrittura rivolta, in particolare, ai coetanei. Nel medesimo spazio l’autore chiarisce che molti personaggi nascono dall’immaginazione, mentre il protagonista esiste davvero ed è un caro amico.
Il cuore del progetto risponde a una domanda che riguarda l’opinione pubblica: come impedire che i barconi diventino numeri, come restituire volto e nome a chi affronta il mare ? La narrazione mostra il passaggio dalla statistica al volto attraverso una sequenza che rimette in gioco l’attenzione: il peschereccio sovraccarico, la stiva soffocante, il motore che si spezza, il pilota che fugge, l’acqua che sale, le mani che annaspano, l’abbraccio tra sconosciuti una volta arrivati a terra. Nel buio la notte si allunga e l’alba porta una nave mercantile, coperte termiche, bevande calde, il trasferimento a Lampedusa. In quella folla di nomi e volti compare anche Momo.
Momo cresce in un villaggio, lavora la terra, vive con una famiglia segnata da fatiche e da attese, sogna una via d’uscita possibile. La fuga inizia attraverso foreste e confini, con incontri che cambiano il corso degli eventi. Nel cuore della foresta una ragazza lo soccorre, lo disseta, diventa compagna di viaggio. Le loro genealogie si intrecciano, la trama apre così una finestra di memoria che lega persecuzioni diverse e richiama una responsabilità intergenerazionale : ogni esodo porta con sé l’eco di altri esodi, ogni approdo fa i conti con altri porti mancati.
Il titolo concentra un programma di sopravvivenza che lotta contro il tempo. Giorno dopo giorno l’orizzonte si misura, maturano le scelte e si costruisce la rotta. Il viaggio per mare non appartiene al repertorio dell’avventura, appartiene alla fenomenologia della soglia. Il porto di Dakar offre un peschereccio arrugginito, le coperte non bastano, la stiva toglie il respiro, il freddo punge, le urla cercano un approdo impossibile. La lingua resta semplice e frontale, coerente con la scelta di raccontare ai più giovani senza filtri retorici. Nel momento del guasto emergono alcuni gesti che definiscono il protagonista: l’istinto di soccorso, il rischio di mettere a repentaglio la propria incolumità, la solidarietà che nasce in mare aperto. Questi frammenti compongono un’etica potentissima, utile a chi oggi si forma l’idea di convivenza guardando un titolo di cronaca.
Dopo il mare la storia entra in Italia e si trasforma in un susseguirsi di transizioni . Il centro di accoglienza, poi le visite mediche, l’assegnazione della stanza, infine la creazione di una routine che piano piano riporta alla vita. Lampedusa diventa il luogo del primo riconoscimento, poi arriva la chiamata a spostarsi e con lo spostamento si perdono gli amici e le abitudini tanto frettolosamente costruiti. Le strutture di accoglienza si riempiono fino all’orlo e le destinazioni si moltiplicano. Nel frattempo Momo si mette subito al lavoro e si fa contadino, muratore, tutor per chi sbarca dopo di lui. Le piccole occupazioni diventano il suo linguaggio per costruirsi un futuro , creare fiducia, alimentare i legami.
La storia di speranza, tuttavia, non risparmia un altro aspetto doloroso di chi affronta il viaggio verso l’altro capo del Mediterraneo: le famiglie rimangono indietro e non tutte sono in grado di accogliere questa scelta radicale. La lettera della madre di Momo introduce un passaggio intimo e struggente, che consegna un peso morale che il protagonista porta sulle proprie spalle a ogni turno di lavoro. La distanza non produce indifferenza, produce una responsabilità nuova: contribuire al benessere della famiglia e intanto costruirne una, libera dalla fame e dalla guerra.
Lo stile di Davide Tosto regge l’ambizione di lanciare un messaggio potente perché sceglie la via colloquiale. La sintassi è piana, il lessico diretto, la sequenza degli eventi procede con linearità e incastri di memoria. L’autore dichiara di rivolgersi in particolare ai coetanei e costruisce un ponte intergenerazionale che comprende gli adulti come compagni di lettura. In questa economia del dire, le frasi cercano il contatto con l’emozione del lettore . Il risultato parla a chi desidera una storia capace di farsi incontro, con un tono sincero e conciso, orientato a entrare diritto nel cuore. “Trecento giorni per salvarsi” è un libro di pace, destinato a sradicare l’odio e il pregiudizio, ad accendere l’attenzione sulle vite vicine, troppo spesso pensate come lontane.
Il punto più alto del messaggio riguarda la vigilanza . Si finisce per assuefarsi al dolore altrui con una facilità inquietante, soprattutto quando le notizie sembrano ricalcarsi, identiche l’una all’altra. Questa pagina ribalta lo schema: al posto della ripetizione entra una biografia, al posto del numero risuona un nome proprio. Ogni lettore giovane può riconoscersi in un gesto di Momo, ogni adulto può ritrovare la propria responsabilità in un dettaglio di contesto. La pace si costruisce così : non come tregua astratta, ma come cura della parola che chiama per nome, come esercizio dell’ascolto che riduce l’attrito. L’integrazione diventa arte quotidiana: imparare la lingua dell’altro, condividere le regole, tenere insieme le differenze senza annullarle. In queste pagine la diffidenza viene addestrata con la pratica del bene, perché l’amore, in quanto forza creativa, crea contesti, non solo emozioni.
“Trecento giorni per salvarsi” non indica solo la durata di un attraversamento, ma la misura di una scelta . Salvare l'altro significa spesso salvare una parte di mondo. Chiamare per nome la propria speranza significa iscriverla in un calendario, farne un compito, trasformarla in abitudine. Il libro esorta a fare lo stesso fuori dalla pagina: contare i giorni necessari a un cambiamento vero nelle scuole, nei porti, nelle case, nelle aule dove i più giovani misurano se il mondo degli adulti mantiene la parola data.
Momo che accoglie chi arriva dopo di lui, spiega come funziona la vita in Italia, indica una strada, affianca scelte difficili, rimette insieme una propria misura di quotidianità, perché non esistono scorciatoie, esistono abitudini di pace . La letteratura diventa strumento di alfabetizzazione affettiva, trasforma il dolore in lingua condivisa, riapre lo sguardo verso l’orizzonte migliore.
Davide Tosto ci consegna un’opera che, con la sua semplicità, ci chiede di restare umani . L’integrazione non è una concessione, è un mestiere che si impara, un’opera di artigianato che richiede tempo e mani. La pace non abita le geografie e nemmeno gli slogan, abita i gesti. Finché sapremo chiamare Momo per nome e restituire nomi a chi ha attraversato il mare o a chi da esso è stato inghiottito, nessun resoconto potrà ridurci a numeri, nessuna corrente potrà dividere ciò che la cura ricuce.
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