Lo scrittore, poeta e saggista Remo Rapino

L'INTERVISTA / REMO RAPINO

«Affido la storia del Novecento a un cocciamatte» 

“Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”, libro rivelazione verso lo Strega del poeta lancianese

Un “cocciamatte” destinato a entrare nella galleria dei grandi pazzi della letteratura, di diritto – con la sua voce «sgarbugliata» che racconta il Novecento dai margini della Storia – a fianco del principe Myškin, sublime Idiota dostoevskiano, al nobile pazzo Don Chisciotte, agli incompiuti Bouvard e Pécuchet di Flaubert, a Marco e Mattio di Vassalli e in là in là fino ai magici “scemi” sudamericani.

La copertina del libro

Il “cocciamatte” che sta volando verso il Premio Strega è Liborio Bonfiglio del quale si narrano “Vita morte e miracoli” nel bel romanzo uscito per minimum fax di Remo Rapino, scrittore, poeta, saggista (ha pubblicato i racconti “Esercizi di ribellione” per Carabba e alcune raccolte di poesia, tra cui “La profezia di Kavafis” con Moby-Dick e “Le biciclette alle case di ringhiera”, Tabula Fati, vincendo anche diversi premi) ed ex docente di filosofia e storia di Lanciano, dove vive da sempre anche se è nato a Casalanguida di Chieti nel 1951.
Liborio è il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare tra le vie di un paese che non viene mai nominato. E in una lingua speciale, sghemba e incalzante, ruvida e saporita di dialettismi per uno spartito travolgente, ecco il Novecento sfilare con il ritmo di una processione con banda musicale al seguito. Tutto il romanzo è costruito attorno alla parlata schietta di Liborio, lingua screziata e gergale, un idioletto personale costruito sulla parlata abruzzese delle proprie origini e infarcito di termini multiregionali, con una resa grafica sgrammaticata e calcata sul parlato che storpia le parti del discorso e gli elementi con cui entra a contatto, appropriandosene e producendo una realtà personale e i propri paradigmi per sopravvivere alle brusche svolte della Storia, conservando, al di là di una rassegnata tenacia, la curiosità per le forme che la vita racchiude oltre gli affanni.
Perché tutto in Liborio si fa racconto, parola, capriola e ricordo: la scuola, l'apprendistato in una barberia, le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia. La scansione temporale si snoda dal 1926, anno di nascita di Liborio, al 2010, stagione della probabile finis vitae dello stesso. Nell’arco di tempo considerato si inseriscono gli eventi collettivi che fanno da scenario e perimetro alle vicende personali del protagonista: i suoi «segni neri» che incidono la carne viva della sua anima pura, ma anche tutta la sua follia e il suo coraggio. Vicende personali ed avvenimenti s’incrociano continuamente, anche se il protagonista non ha mai la giusta e piena consapevolezza e della loro importanza storica e della complessa tragicità. A popolare la sua memoria, una galleria di personaggi indimenticabili: il maestro Cianfarra Romeo, donn'Assunta la maitressa, l'amore di gioventù Teresa, gli amici operai della Ducati, il dottore Alvise Mattolini, Teté e la Sordicchia.
Rapino lei ha scelto di far raccontare il ’900 a un “cocciamatte”, un irregolare. Come nasce questa scelta?
Da un punto di vista del personaggio, la storia della sua gestazione è lunga. Liborio è stato inizialmente oggetto di una poesia che parlava di personaggi e luoghi poetici e che risale al 1998, poi di un racconto, che vinse un premio a Castilenti, quindi dal 2016 ho lavorato al romanzo, con lunghe ricerche sui fatti per l’ambientazione.
La particolarità del protagonista emerge nella lingua che usa per narrare. Come l’ha costruita?
Diciamo che Liborio scrive come parla, la sua è una lingua schietta, fatta di parole mischiate: un italiano parlato da uno che non conosce l’italiano, parole che si mascherano, parole ombra le chiamo io, che raccontano fatti con disincanto. Un flusso ininterrotto tra dialetto e lingua dell’anima, flusso di coscienza. È una lingua parlata, gergale, non un dialetto, ma ci sono molti dialettismi (parole, ma anche locuzioni, forme e costrutti) di origine dialettale inseriti in contesti di italiano, un codice gergale meticcio, ma è anche un linguaggio fantasioso. E il glossario alla fine ha funzione di rendere comprensibili codici espressivi non più usuali, differenze di significato anche per i contesti.
Che rapporto ha Liborio con la realtà?
Il rapporto con la realtà di Liborio si basa essenzialmente su due sentimenti: stupore e dolore. Lui cerca un senso ai suoi giorni, ai fatti che gli accadono e che accadono a tanti. Ci sono tanti Liborio in Liborio, lui si domanda il perché delle cose, cerca di comprenderlo, cerca gli occhi del padre per tutta la vita, ha un suo rapporto con la guerra, con la Resistenza...
Liborio vive in un paese mai citato...
Non cito mai Lanciano, però è chiaramente riconoscibile la città, sia per i fatti dell’Ottobre del ’43 e le feste di Settembre cui si fa riferimento, e non solo in Abruzzo come ho visto nei giri che sto facendo di presentazione del libro, a Parma, Genova, Bologna. Ma lui è un personaggio presente in molti luoghi.
E attraversa il ’900...
Liborio vive “il secolo breve”, ciò che gli accade accade in un secolo: la guerra, la fabbrica, il lavoro, il manicomio, l’emigrazione, gli anni ’60, la Bologna di quegli anni.
Documentate anche le pagine della fase manicomiale.
Liborio racconta i suoi luoghi, come il manicomio, o i personaggi, come i pazienti del manicomio, che sono realmente esistiti. Ho lavorato sugli archivi di manicomi provinciali dove c’erano questi personaggi.
Qui la sua “pazzia” prende forma.
Ermanno Cavazzoni lo definirebbe “dotato di una idiozia esemplare”. Liborio guarda ma non sa – lo saprà mai? – che i suoi occhi stanno osservando il principe Myškin e altri idioti, con le loro vite più o meno brevi, miracoli compresi, matasse di parole non dette, pensieri d’aria.
E la letteratura è piena di questi idioti...
Penso a Don Chisciotte, a Marco e Mattio, romanzo di Sebastiano Vassalli che narra il viaggio verso la follia di un eroico salvatore dell'umanità e del suo misterioso compagno di strada. E ancora “Gimpel l’idiota”, i racconti di Singer. Il personaggio dell’ “Antologia di Spoon River” di Lee Masters, lo scemo del villaggio cui De André dedica il brano ("Un matto -Dietro ogni scemo c'è un villaggio”ndr).
Liborio guarda la vita come loro?
Guarda la vita e la racconta a modo suo, fa parte del paesaggio ma ne è fuori, un “fuorimargine”, ma anche noi siamo al di fuori del margine rispetto a lui, la normalità è concetto astratto. È idiota perché incapace di rapportarsi al pubblico, con la comunità, ma ci sta anche dentro. In una città c’è il medico, l’insegnante, l’idraulico e il matto, quello che è fuori dai canoni, ma pur sempre un uomo.
Come definirebbe “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”?
Un libro sull’accettazione della diversità, sull’accoglienza, un libro sui porti aperti, al di fuori della ragione comune che ha una sua ragione. Liborio disegna gli altri bene, sì, sono gli altri che non capiscono lui.
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