Calcio

L’intervista a Junior: «Ci vogliono più giovani, qui troppi stranieri»

1 Agosto 2025

L’ex campione del Pescara al Centro: «L’Italia ha perso quell’identità con cui ci sconfisse nel 1982»: E sul Pescara: «Non bisogna sbagliare la scelta dei giocatori perché la serie B è difficile»

PESCARA. Pescara, la sua seconda casa, come ama definirla, questa volta gli ha fatto un brutto scherzo. Nella settimana in cui Leo Junior è stato in vacanza, il tempo non è stato clemente: «Sono vent’anni che vengo a Pescara d’estate ed è la prima volta che trovo tempo brutto».

Ne ha approfittato per vedere altro?

«Stavolta, oltre alla mia famiglia, mi hanno accompagnato degli amici, siamo più di venti persone. L’altro giorno ci hanno invitato in una cantina a Bolognano per mostrarci le fasi di produzione del vino». Lo incontriamo in un Bed & Breakfast non troppo distante dallo stadio Adriatico-Cornacchia dove il fuoriclasse brasiliano, ora 71 anni, con il numero 5 sulle spalle dava spettacolo in quel Pescara di Galeone.

Vedrà altri compagni di quella squadra?

«Non credo tutti. Ho visto Franco Marchegiani, incontrerò Luigi Ciarlantini, con gli altri ci scriviamo su una chat. Sa come si chiama il gruppo? Salvezza 1987/88 (ride ndc)».

Gasperini è preoccupato di allenare a Roma?

«Un piemontese che lavora a testa bassa pensa che possa spaventarsi dell’ambiente romano? L’ho sentito e mi ha chiesto un parere sul terzino brasiliano Wesley, appena acquistato dalla Roma».

Quel campionato chiuso con la salvezza iniziò con la vittoria al Meazza contro l’Inter...

«Giovanni (Galeone ndc) negli spogliatoi ci disse prima di entrare in campo: “Lì fuori ci sono fior di campioni, se ci chiudiamo ne prendiamo quattro, quindi giochiamo».

Se dovesse spiegare ad una scuola calcio il suo passaggio a Galvani di esterno che aprì in due l’Inter?

«Avevo la palla tra i piedi, di sinistro non potevo dargliela, allora l’ho colpita con le tre dita del piede destro ed è venuta fuori quella traiettoria particolare. Una giocata normale».

Noi italiani non riusciamo a spiegarci come il Brasile del 1982 abbia perso contro l’Italia.

«Sono 43 anni che me lo chiedo anche io e non so darmi una risposta. Però di una cosa sono certo: non esistono squadre imbattibili. Il fascino del calcio deriva proprio da questo. Quella Nazionale azzurra aveva un’identità precisa, la caratteristica che l’Italia ha perso negli ultimi anni».

Un altro Mondiale senza l’Italia che cosa significherebbe?

«Una tragedia, dal punto di vista sportivo e ambientale. I mondiali senza l’Italia sono spenti. Spero di ritrovarla l’anno prossimo».

Troppi stranieri o troppa paura di puntare sui giovani?

«Difficile rispondere. So solo che guardando le formazioni delle squadre di vertice in Italia i nomi italiani sono pochi. Sono arrivato a Torino nel 1984 e ho giocato con Francini, Comi, Lentini che venivano dal settore giovanile, compreso Zaccarelli che era una bandiera del Toro».

Un mito come lei.

«Non mi piace quando si parla di miti. Vorrei essere considerato un punto di riferimento per i giovani. Ho giocato 876 partite nel Flamengo in 18 anni».

Un punto di riferimento lo è stato anche a Pescara.

«Dopo tre stagioni al Torino ho scelto Pescara cercando di comportarmi sempre da professionista in campo e fuori».

Un fratello maggiore per i giovani?

«Esatto. Sa quante volte ho preso in disparte compagni di squadra un po’ disorientati dalle belle macchine, dai soldi e dalle donne che girano intorno? Il successo all’inizio è fatto di scalini bassi e semplici da salire, poi l’altezza aumenta sempre di più e si rischia di cadere».

Vale più il talento o il lavoro?

«Il talento deve esserci, ma con il lavoro si può migliorare. Pensi che io calciavo di destro, poi nel Flamengo mi hanno chiesto di giocare da terzino sinistro e mi sono allenato tutti i giorni per imparare a colpire bene la palla con il piede sinistro».

Com’è cambiato il calcio negli ultimi anni?

«Sono nell’ambiente e mi adatto alle novità. L’unica cosa che mi rimane difficile digerire sono i nuovi termini del gergo calcistico tipo “pressione alta” o “l’ultimo terzo del campo”. Sono 27 anni che lavoro alla Globo tv, la più importante emittente brasiliana vista da 80 milioni di spettatori, ma queste cose non riesco proprio a dirle».

Da noi abbiamo il braccetto.

«Cos’è il braccetto? (e, quando cerco di spiegarglielo, ride, ndc)».

Di Carlo Ancelotti ct del Brasile che cosa pensa?

«Un allenatore straniero alla guida del Brasile fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile, ma Ancelotti è il più adatto: ha giocato con i brasiliani e ha fatto crescere tanti calciatori brasiliani tipo Vinicius».

Tornando al Pescara, ha seguito la finale play off contro la Ternana?

«Ho ascoltato la radiocronaca di Enrico Rocchi su Radio California. Non sono riuscito a collegarmi con la tv».

Ora la serie B.

«Chi non ha grosse possibilità di investimento deve puntare sui giovani. Sta alla capacità dell’allenatore inserirli nel modo giusto in squadra. La serie B italiana è difficilissima e non bisogna fare troppi passi falsi».

Quando ripartirete?

«Domenica passiamo a Roma per il Giubileo e poi lunedì ripartiremo per il Brasile».

Andrete in Vaticano?

«Andranno. Io ci sono stato già tre o quattro volte. Mi godrò un po’ la bellezza di Roma».

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