Da Doha a Napoli e ritorno, il viaggio di Egale Cerroni: «Un’opera nata dal dolore»

Successo in Qatar per lo spettacolo dedicato ai 2.500 anni della città, Il regista abruzzese: «Quando non sai come dire una cosa allora canta»
Dalla penisola araba a Napoli, per celebrare i 2.500 anni della città partenopea e la musica mediterranea. Un itinerario immaginario che diventa spettacolo Maqam – Doha Napoli andata e ritorno, andato in scena il 9 novembre scorso al Drama Theater di Doha, ha registrato un grande successo di pubblico e critica. Un viaggio musicale, quasi mistico, che porta la firma dell’abruzzese Egale Cerroni e la consulenza musicale del qatarino Khalid Hassen Al Salem. Cerroni, originario di Collelongo, è autore e regista che dal 2009 vive in Qatar dopo gli inizi alla tv araba di Avezzano. Un’opera nata quasi per caso, da una proposta fatta all’ambasciatore d’Italia in Qatar Paolo Toschi e organizzata con Katara Cultural Village Foundation e il Music Affairs Center del ministero della Cultura qatarino. «Un lavoro difficile», afferma il regista, «di solito sono velocissimo nella stesura della prima bozza, questa volta non riuscivo a scrivere. Mia moglie mi diceva: “Perché ci metti così tanto?”. Tutto quello che sta succedendo al mondo mi ha fermato. Ho amici palestinesi, tutti hanno perso qualcuno. Per un anno e mezzo il sonno è quasi sparito». Questa ferita, spiega, «mi ha cambiato la sostanza interiore». Da lì la svolta: «Provavo a scrivere un omaggio a Napoli e mi sembrava di fare marchette. Poi ho capito che dovevo instillare quel dolore dentro lo spettacolo». Nasce così Abu Maria, alter ego dell’autore, che dialoga con i protagonisti Salem e Pulcinella, trasformando la scena in un luogo dove il dolore dell’uomo diventa materia artistica. La trama si innesta sulla grande tradizione del maqam, «la musica madre che ha avuto tanti figli», ricorda Cerroni. Un’arte antichissima: «Un modo di improvvisare le note che risale a Ziryab, il musicista iracheno del IX secolo che da Baghdad attraversò tutto il mondo arabo fino al Marocco e alla Spagna. In Andalusia trovi ovunque il suo nome. E se l’Andalusia si chiama così è per la musica andalusa». Non un dettaglio romantico, ma una genealogia precisa: «La musica mediterranea, compresa quella napoletana, ricorda fortemente sonorità arabe. Quando l’ho proposta all’ambasciata non immaginavo che cadesse proprio nell’anno dei 2.500 anni di Napoli».
Lo spettacolo unisce attori e musicisti: l’ensemble arabo con oud (Amir Ayyad) e violino (Ahmad Barakat) , il Maqam Choir diretto da Sarine Mohammed, e i Tamburi del Vesuvio guidati da Nando Citarella, insieme a Gabriella Aiello, Tommaso Sollazzo, Valerio Mileto, Nino Conte e Pietro Pisano. Sul palco di Doha si è creato un un “ponte sonoro” che riflette la natura stessa del Mare Nostrum, il Mediterraneo. Nel racconto, Salem – interpretato da Salem Hussain Al Jahwashy – riceve l’invito di Pulcinella per la grande festa dei 2500 anni. Parte da Doha con una valigia in caso «di emergenze musicali», ma ogni volta che prova a salpare si risveglia nello stesso porto. «C’è qualcosa che non va», dice. È il dolore dell’autore a impedirgli di partire. Salem allora scuote e invoca Abu Maria: «Lo so che sei addolorato, ma fammi arrivare a Napoli». Convinto l’autore, Salem approda finalmente nella città del sole. Entra cantando ’O paese d’ ’o sole, ma capisce subito che qualcosa non torna: «Il Vesuvio fuma e Pulcinella non lo riconosce. Perfino lui ha perso la memoria. Il dolore dell’autore ha contaminato Napoli, di solito immune alla tristezza». Salem allora comprende che la sua missione non è festeggiare, ma guarire. «Non è venuto per divertirsi e mangiare la pizza», dice Cerroni «ma per aiutare gli altri, anche arrabbiandosi con l’autore». Dalla valigia tira fuori uno scrigno: la musica madre andalusa. Le melodie si riversano sulla scena, Pulcinella ritrova sé stesso, la città si illumina. «Ho paura di questo silenzio roboante che alla lunga uccide», confessa l’autore. Ma Salem risponde: «No, qui si può resistere. Attraverso la musica, difendendo le proprie radici». Il regista stesso lo ripete «quando non sai come dire una cosa, devi metterla in musica, devi cantarla!». È la chiave del suo lavoro: la musica come lingua che scioglie il dolore quando la voce umana non basta più. Il finale è un’esplosione di luce e unità. «Esce il sole, arriva un’ora di musica», racconta Cerroni. Sul palco, uno accanto all’altro, tutti gli artisti – arabi e italiani – chiudono lo spettacolo cantando insieme, trasformando la scena in una piccola piazza mediterranea. «Salem e Pulcinella diventano presentatori di un grande programma musicale, poi si salutano. Salem torna a Doha: mi porto la valigia, ma la musica rimane». Per Cerroni, Maqam è stato un rito personale: «Non era una marchetta. Ho dovuto buttare fuori questo dolore». E il pubblico qatarino? «Del popolo pensano bene, si innamorano. Sono rimasti colpiti dall’onestà intellettuale di un europeo che riconosce loro il ruolo nella nascita di questa musica che ha generato figli in tutto il Mediterraneo». Lo spettacolo ora potrebbe arrivare proprio a Napoli. Per chiudere davvero quel viaggio iniziato nel porto di Doha e riportare la musica madre là dove tutto aveva smesso, per un momento, di suonare.
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