Il ricordo di Ginoble: «Così Ornella Vanoni mi ha fatto trasformare l’emozione in voce»

Il tenore del Volo ricorda l’incontro nel 2022 e quel duetto mancato: «Si prendeva gioco della vita, il dolore non l’ha piegata»
PESCARA. È cresciuto ascoltando la sua voce, poi ha scoperto che dietro quel timbro c’era una donna straordinaria. Il tenore abruzzese del Volo, Gianluca Ginoble, ricorda così Ornella Vanoni: un’insegnante silenziosa che gli ha mostrato, nel corso degli anni, come trasformare l’emozione in voce.
Ginoble, la morte di Ornella Vanoni, lo scorso venerdì, ha segnato profondamente il mondo della musica. Lei come ha vissuto questo momento?
«La scomparsa di Ornella mi ha colpito nel profondo, più di quanto credessi. Con la sua morte si chiude un capitolo fondamentale della musica italiana. Non era soltanto una grande cantante, ma un’artista capace di intendere la musica e la vita».
Secondo lei, cosa la rendeva speciale?
«Questa domanda è facile perché, quando cantava, la parola diventava emozione. Una vibrazione che ti arrivava dentro senza filtri. Aveva quella capacità – rarissima – di trasformare la voce in un luogo dove rifugiarsi, dove sentirsi capiti. Oggi si tende, invece, a privilegiare la perfezione tecnica e l’immagine, mentre lei apparteneva a una scuola dove ogni parola veniva vissuta».
Per questo motivo la sua scomparsa è così dolorosa?
«Ornella ha dato voce alle donne in un’epoca in cui era molto difficile, mostrando che la fragilità può essere una forza gigantesca. Ed è per questo che continua a parlare anche ai più giovani».
Oggi è diverso?
«Diciamo che si tende a privilegiare la perfezione tecnica e l’immagine. Mentre Ornella apparteneva a una scuola dove ogni parola veniva vissuta e respirata. Abbiamo perso una delle ultime testimoni di un’epoca in cui la musica non era solo intrattenimento, ma un racconto dell’anima, un sentimento che diventava suono. È la perdita di una visione, prima ancora che di una voce».
Che tipo di rapporto vi legava?
«Un rapporto fatto di incontri rari, ma speciali. Il mio manager, Michele Torpedine, è stato anche il suo e questo ha creato fin da subito un ponte affettivo. Ho conosciuto Ornella tra il 2010 e il 2011, proprio quando la mia carriera stava iniziando. L’ultima volta, invece, l’ho vista nell’estate del 2022, quando abbiamo cenato insieme a Verona. Poi, l’anno scorso, avremmo dovuto cantare insieme “Senza fine”, che per me è una delle canzoni più emblematiche. Purtroppo la sera prima non si è sentita bene».
E com’era la Vanoni lontano dai riflettori?
«Era una donna che si prendeva il diritto di essere se stessa senza mai chiedere il permesso. Elegante, curata, con quella sua irresistibile autoironia che la rendeva unica. Si prendeva gioco della vita, non perché non avesse sofferto, ma perché aveva imparato a non farsi piegare dal dolore. Accanto a lei ti sentivi parte di una storia più grande: la storia di una donna che aveva attraversato epoche e rivoluzioni, restando comunque libera».
Ma c’è un suo brano che sente particolarmente vicino?
«Sì e le rispondo con un aneddoto: ero in vacanza a Santorini, un anno fa, e stavo andando in aeroporto. Il tassista mi chiede di mettere una canzone, così scelgo La voglia, la pazzia. Appena parte il brano, lo vedo sorridere. Mi dice: “È meravigliosa, possiamo fare un giro più lungo?”. Abbiamo girato l’isola cantando insieme, ridendo come se ci conoscessimo da sempre. Lui non aveva idea di chi fosse Ornella. Eppure, si è innamorato lo stesso, al primo ascolto. Quando la musica arriva così, senza bisogno di spiegazioni, è destinata a durare».

