Giuseppe Lisciani: faccio giocattoli per allevare bambini intelligenti

Lo scrittore e pedagogista di Mosciano trasformatosi in imprenditore con una fabbrica a Sant’Atto «Occorre rivolgersi ai ragazzi istruendoli, le maestre sono troppo mamme ma questo non basta»

di Jolanda Ferrara

«Voglio sposare la Gallina, disse il Pinguino d'un fiato, scrutando il Piccione per vedere che faccia aveva... Il nostro Pinguino quasi si meravigliava che la felicità fosse così semplice, così a portata di mano. Su questi pensieri si accalorò fino al punto di sciogliere il ghiaccio del suo letto... "Il Pinguino desidera sposarti", il Piccione sapeva dare queste notizie; all'improvviso, come una lama di coltello. Furono parole esplosive e la Gallina vide bagliori di luce, margherite volanti, suonarono campane e campanelli tutt'intorno...».

Fa bene, Giuseppe Lisciani, a consigliare i romanzi-favola che scrive, a lettori dagli 8 ai 99 anni. Entrare dentro le “notevoli avventure” del pinguino, la gallina e il piccione impiccione, oppure nel magico mondo di Carotina Super Bip, serve non solo a stupirsi e bearsi di come davvero la felicità possa essere così semplice, a portata di mano. Ma finalmente - e parliamo in prima persona in questo caso - serve a sfondare quel muro di cordiale formalità che accompagna l'impegnativa ricostruzione del suo percorso di fine pedagogista e innovatore del gioco didattico.

Un imprenditore che scrive favole e inventa giochi «per lo sviluppo delle intelligenze», Peppino Lisciani, presidente del cda della Liscianigiochi da lui fondata, l'azienda teramana leader nel gioco didattico. Umanista per vocazione («Volevo fare filosofia dell'educazione, piuttosto che occuparmi di didattica») con una simpatia per la matematica («In Italia siamo abituati a considerarla un apprendimento difficile, ma in fondo si basa sul ragionamento!»), Lisciani è uno a cui piace «mettere in gioco le intelligenze». Creatività, senso del gioco («Se non ci si diverte a inventarlo, vuol dire che il gioco non va bene: è la prova del nove») e piedi per terra. Ovvero, capacità di prevedere la fattibilità industriale del gioco, «altrimenti avremmo lavorato a vuoto».

E' così che elenca le doti necessarie per poter far parte della sua squadra. Parola d'ordine, sperimentare, innovare.

«Con il gruppo di ricerca di Mauro Laeng», precisa, «per primi abbiamo introdotto in Italia l'istruzione programmata e le teaching machines, oggi rimpiazzate dai personal computer». «Scherzando», racconta Lisciani davanti a un grande dipinto del suo amico e conterraneo Gigino Falconi, «con la nostra azienda abbiamo tracciato un segno. Siamo stati i primi a introdurre tablet e Iphone per bambini. E il robot android, non un giocattolo ma un androide programmato per dialogare e porre domande, raccontare storie, dare informazioni all'utente, e perfino scherzarci». Per lui, confessa, i libri sono «sempre stati una calamita, qualcosa che mi cattura al limite del feticismo». «Proprio perché si trattava di libri sono riuscito a farne impresa, affari. Una bella scoperta di me stesso».

Il professore ci accoglie, in un assolato pomeriggio, nel suo studio a Capo Posta, tra le morbide colline moscianesi. Casa e studio sono immersi nel verde, la montagna di Campli fa da sfondo, il cinguettio dei passeri rallegra l'aria campestre. The Best, il suo cane pastore dell'Asia centrale, è temporaneamente chiuso nel recinto. Il resto della "fattoria" è composta, a prima vista, da una coppia di lama (femmine) nate a Sopra Bolzano, un cavallo arabo, Futuro, e l'asinello Chico.

«Mi piace osservarli, mi fanno buona compagnia», dice pacato il professore, il sorriso bonario nasconde l'occhiata scrutatrice, l'orecchino al lobo sinistro è segno evidente di una vivacità tutta da scoprire. «Con mia moglie, Sofia, vivo qui da una decina d'anni, ho più spazio per gli animali e sono a pochi chilometri dall'azienda».

La Lisciani Giochi si trova a Sant'Atto, zona industriale di Teramo. L'azienda è leader nel gioco educativo, giochi scientifici per bambini in età scolare. Per questo, nel 1975, Lisciani ha ricevuto la medaglia al merito educativo dal presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Con lungimiranza «e un po' di follia» negli anni '70 ha fondato la Eit, Editrice italiana Teramo. Da piccola casa editrice con vendita rateale di grandi opere per la didattica, l'azienda ha puntato da subito sull'innovazione e l'originalità della proposta. Il fondaco di partenza è cresciuto fino ad occupare attualmente i tre capannoni che si vedono dalla A14, direzione Teramo.

«Devo ringraziare Sergio Giunti che ci ha veicolato i primi giochi con la sua rete vendita, aprendoci la strada. La risposta del pubblico è stata subito notevole», racconta il prof. «In pratica mi sono detto: perché non produrre materiale didattico in forma di gioco. Da lì, con l'esperienza accumulata nel tempo, è partito tutto». Oggi la Lisciani Giochi è un gruppo industriale presente in molti Paesi, europei ed extra. Dà lavoro a oltre cento dipendenti e conta un centinaio tra addetti reti vendita, illustratori, grafici, informatici, autori (anche americani e inglesi), sceneggiatori, traduttori, consulenti. L'azienda vive anche dell'apporto della seconda generazione, i figli del professore, Davide e Alessandra. «Chi insegna», dice Lisciani, «deve porsi un fine da raggiungere, formare un bambino colto. Bello a dirsi ma difficile da verificare. Oggi si dà la possibilità a tutti, non solo ai geni, un notevole passo avanti. Che consente di svolgere l'attività di insegnate in misura più onesta e corretta. Gli errori di valutazione dell'apprendimento sono all'ordine del giorno», considera ancora il prof. «Esiste una scienza per l'analisi degli obiettivi didattici in termini di comportamento, un concetto che con Laeng abbiamo introdotto nel linguaggio corrente della didattica. Per insegnare bene non basta essere preparati nella materia ma conoscere di pedagogia, psicologia, didattica. Insegnare può essere una vocazione ma certamente è una professione, occorre sapere come si fa. In effetti le maestre sono troppo mamme, il che non guasta, ma non è tutto. Occorre avere l'abilità di rivolgersi ai bambini istruendoli. Non a caso la scuola primaria italiana continua a essere tra le migliori al mondo».

Ma come si pone la scuola dinanzi alla grande sfida dell'informatizzazione? «Non sono portato al pessimismo. E' vero che i postini non portano più lettere, che la comunicazione viaggia sincopata col telefono. Non si scrive più una lettera meditata ma brandelli di parole suggerendone qualche, eventuale, significato. Ma ho fiducia nella ricerca di autocorrettivi che costringano in tempi altrettanto rapidi a cercare soluzioni all'altezza di una vita migliore per tutti».

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