Pescara

I parchi giochi di Nagler in mostra a Pescara

19 Maggio 2025

Il progetto fotograficobsarà ospitato da sabato 24 maggio in galleria Vistamare. L’artista svedese l’ha raccontato in anteprima al Centro

PESCARA. «Mi andrebbe benissimo se tra 100 anni le mie fotografie fossero mescolate a quelle dell'800, mi piace molto l'idea di fondermi con la storia e sparire. Sparisco ma ci sono perché ho innescato un meccanismo, degli accadimenti visivi, ma non ho pretese di apparire come autore». L'artista Linda Fregni Nagler (Stoccolma classe 1976, vive a Milano) ama la magia del mezzo fotografico primordiale e lavora a raccogliere immagini anonime, non d'autore, non riconosciute artisticamente «perché», racconta, «rivelano moltissimo sullo sguardo che usiamo su noi stessi; un osservatorio antropologico, un sistema di categorizzazione sull'umano».

L'artista, italiana di adozione, utilizza la fotografia come strumento di riflessione sullo spazio, sull'immagine, sulla capacità di nuove visioni. Lo racconta al Centro anticipando l’inaugurazione della sua seconda mostra personale nella sede della galleria Vistamare a Pescara in via Largo dei Frentani. Playgrounds, questo il titolo dell'esposizione, sarà aperta al pubblico, con ingresso libero, dal 26 maggio al 5 novembre; opening sabato 24 maggio alle 18.30. Un progetto fotografico iniziato nel 2005 e ancora in corso. La serie, esposta nel 2023 in occasione della VI Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro promossa dalla Fondazione Mast (Bologna) e qui arricchita di scatti inediti, è incentrata su immagini di parchi giochi scattate durante la notte in diversi luoghi del mondo, dalla provincia di Milano a New York, dalla Svizzera a Cuba.

In questi scatti notturni realizzati con un apporto minimo di luce, l’artista non aveva piena consapevolezza dei dettagli che sarebbero rientrati nel campo visivo: «Nell’immagine di Atlantide a Metaponto, tra Puglia e Basilicata, non c’era luce artificiale né ambientale. Ricordo che guardando nel visore del banco ottico non vedevo niente, era tutto nero. Un paio di amici mi hanno aiutata andando da una parte e dall’altra della struttura con delle torce con cui mi facevano dei segnali. Quei due puntini luminosi mi davano l’idea dello spazio occupato dall’oggetto dell’inquadratura».

Attraverso questo progetto, l’artista si ricollega alle origini della fotografia, quando appunto erano necessari tempi di posa molto lunghi per catturare l’immagine, e riflette sul mezzo fotografico stesso, esplorandone gli elementi fisici costitutivi, il tempo e la luce, nonché il potere trasformativo e la capacità di generare nuove visioni. Davanti a queste immagini facciamo fatica a riconoscere la realtà per come ci è nota. In un processo straniante, allontanandosi dall’immaginario comune dei luoghi che raffigurano, le fotografie in bianco e nero di Fregni Nagler suscitano uno stupore inatteso. Nell’assenza del pubblico infantile che normalmente li anima, i parchi gioco smettono di funzionare come siti di intrattenimento e si tramutano in oggetti misteriosi dalla fisionomia ambigua e solitaria. La vivacità cromatica tipica di queste aree ludiche lascia il posto ad un'atmosfera di sospensione, enigmatica e oscura. «Ricercare scatti ieratici», racconta l'artista, «è stata una prova molto impegnativa tecnicamente e nell'organizzazione, un'esperienza emozionale ed esistenziale, costretti in attesa in momenti irreali di massimo silenzio con pose di 2-3 ore immersi nel buio totale. Un lavoro speciale, un po’ come tornare all'origine della fotografia in cui si usava il tappo per determinare il tempo di esposizione». «Credo che la nascita della fotografia», prosegue Linda, «sia veramente il cambio di prospettiva totale nella nostra visione del mondo, un medieum che guardo con venerazione totale. Molto più nella sua forma analogica che digitale».

Come vede Linda Fregni Nagler l'uso della fotografia oggi? «Quella cosa che chiamano selfie fino a qualche giorno fa si chiamava autoscatto ed esisteva già», dice, «Penso che tutto quello che accade oggi con il digitale rappresenti la fase enfatica e gigantografata di quello che già accadeva prima, e non mi suscita particolare stupore né tentazione. Mi attira molto di più cosa potesse provare una persona che non ha mai visto una fotografia in vista sua, non si è mai trovato davanti a un mezzo fotografico e all'improvviso si vede ritratta in dagherrotipo, una lastra specchiante dove vede prima la sua faccia poi emerge un'altra immagine, di suo figlio, suo marito, sua madre che non c'è più. Per me una seduzione che avrei voluto vivere, una magia che non è paragonabile all'oggi». Una selezione di Playgrounds sarà esposta alla Galleria di arte moderna di Torino in una retrospettiva che farà il punto su 25 anni di lavoro di Nagler, oggi impegnata a costruire un archivio di oltre 350 immagini, su una pratica di iniziazione delle confraternite studentesche nelle università tedesche.