Il linguaggio dei meme nel divertente saggio di Ortolano e de Fazio

9 Ottobre 2023

Lo studio dei due docenti universitari tra scienza e sorriso «Rappresentano il tratto evolutivo e digitale della vignetta»

CHIETI. Chi non ha interagito almeno una volta con un meme? O non ne ha coniato uno? Oggetto digitale ironico diffuso viralmente nella rete dei social network, il meme, termine creato nel 1976 dal biologo Richard Dawkins per indicare un tratto culturale capace di propogarsi come un gene, oggi è forse la forma di comunicazione più sintetica e diffusa nell’ambiente virtuale. Una forma (in genere immagine+testo) connotata dall’umorismo, ma che sotto il sorriso o lo sberleffo qualche verità la veicola. Magari è esagerato scomodare il termine orwelliano “neolingua” per i meme, ma indubbiamente questo tipo di satira è un interessante terreno di studio che può dire molto del nostro tempo immerso nella comunicazione, in cui il medium è il messaggio, come anticipato oltre mezzo secolo fa da Marshall McLuhan.
Il primo studio del fenomeno è il recente saggio La lingua dei meme, scritto per l’editore romano Carocci da Debora de Fazio e Pierluigi Ortolano, professori associati di Linguistica italiana, rispettivamente nell’ università della Basilicata e nell’università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Uno studio brillante, che abbina al rigore scientifico dell’analisi linguistica, semiotica e semantica del fenomeno meme la comprensibilità e piacevolezza del testo, ricco di esempi divertenti. Ecco l’intervista doppia rilasciata dai due docenti al Centro.
Professori, possiamo considerare i meme come i nipotini di caricature e vignette?
Pierluigi Ortolano: «Indubbiamente il meme rappresenta il tratto evolutivo e digitale della vignetta; si pensi alle vignette di Forattini, tanto per fare un esempio: un’immagine con una didascalia o una battuta pronta a far sorridere ma anche a far riflettere sull’essenza del messaggio».
Debora de Fazio: «Sì, e nel libro il collegamento è chiaramente esplicitato. Se una differenza possiamo individuare è che, mentre caricature e vignette sono perlopiù realizzate da grandi “firme”, il meme è un prodotto nella maggior parte dei casi anonimo, senza padre».
Oltre al valore iconico e ironico e alla capacità di diventare virale, elementi da voi rimarcati nel libro, nel successo in rete di un meme entra in gioco altro, magari casuale?
P.O. «Il meme principalmente colpisce per la sua efficacia e per un chiaro processo di presupposizione, dal momento che l’emittente dà per noto due elementi non esplicitati nel discorso, immagine del personaggio e battuta, perché «ricavabili dalle conoscenze dell’interlocutore o dal modo in cui il discorso viene presentato», come ricordava il linguista Luca Serianni».
D.d.F. «La “casualità” a volte può fare la fortuna di un meme. Si pensi al caso del “povero gabbiano”. Due influencer siciliani intonano in un video la strofa di una canzone composta molti anni prima, nel 1988, dal cantante neomelodico Gianni Celeste. Il ritornello (povero gabbiano / hai perduto la compagna) diventa ben presto virale e punto di partenza per la creazione di meme. Il meme è diffuso soprattutto su fb e nelle chat».
È un fenomeno comunicativo da boomer?
P.O. e D.d.F. «Il meme ormai è “plurigenerazionale”. Abbraccia boomer, generazione Z e generazioni trasversali. È sufficiente l’uso di un social per “memare” qualcosa o qualcuno; se un personaggio diventa “memabile” vuol dire che appartiene alla memoria collettiva degli utenti della rete».
I vostri studenti vi hanno dato spunti relativamente ai social da loro più usati, Ig e TikTok?
P.O. «Il libro nasce proprio dal contatto diretto con i nostri studenti e dal feedback da loro ricevuto. I miei studenti non solo continuano a inviarmi meme e frasi sgrammaticate derivate da essi, ma si dilettano a crearne nuovi sulla base anche delle lezioni che seguono a Chieti nel Dipartimento di Lettere. Ricordo un meme in particolare creato da un neologismo piuttosto controverso che spiegai a lezione e che entrò nello Zingarelli 2009, “tronista”: una mia studentessa ne creò un meme, protagonista un simpatico gatto che gironzola nel nostro campus e che era diventato per tutti un personaggio “memabile”».
D.d.F. «I nostri studenti, non a caso ringraziati nella premessa del libro, sono stati nello stesso tempo le nostre “cavie”, su cui abbiamo un po’ tarato contenuto e resa didattica del volumetto, e un serbatoio di idee e suggerimenti. Alla fine di uno dei miei corsi alcuni studenti avevano anche realizzato un meme sulla sottoscritta che, ovviamente, ho subito “secretato”».
I meme stanno soppiantando i post?
P.O. e D.d.F. «In parte. Il post, per sua natura, ha un valore più informativo, il meme ha chiaramente una peculiarità più figurativa perché si basa su un’immagine e una frase da corredo. La sua funzione, volendo usare le parole di Richard Dawkins, il papà della parola meme (in senso però scientifico e non linguistico), è quello di replicatore comunicativo».
Sui social, proprio attraverso i meme, vengono spesso usate le lingue regionali. Sarà perché il dialetto, soprattutto in chiave comica, è più plastico ed efficace dell’italiano?
P.O. «Nell’immaginario collettivo il dialetto è un codice che ha un valore più immediato e più comico rispetto all’italiano; i meme “dialettali”, però, non restano circoscritti alla comunità dialettale ma si fanno strada in àmbito nazionale sfruttando i dialetti più conosciuti, come il romanesco e il campano. Su tutti, si osservi la fortuna di cui gode il sito Le più belle frasi di Osho, i cui meme sono tutti in dialetto romanesco».
D.d.F. «Sì, il professor Ortolano ha ragione. Come ricorda il linguista Fabio Rossi, che ci ha onorato di una sua recensione su Treccani.it, l’impiego del dialetto, in parallelo con altri usi della rete, ma anche di tanto cinema, televisione e canzone dell’ultimo ventennio, illustra il fenomeno della rivitalizzazione e rifunzionalizzazione, in chiave gergale, della componente regionale nell’italiano odierno, ben lungi dalla preconizzata e temuta (o auspicata?) morte dei dialetti di demauriana e pasoliniana memoria».
Gli ambiti di maggiore applicazione dei meme, scrivete, sono sport, politica, spettacolo, moda, scuola, religione, ma pure fake news e teorie complottiste. Quale meme vi ha più colpito e perché?
P.O. «Ci sono due meme a cui sono più affezionato e sono entrambi appartenenti all’àmbito sportivo: uno è su Francesco Totti, l’altro su Antonio Cassano. I due meme sono connotati da una forte componente romanesca, oltre che da una spiccata intertestualità; Totti, da calciatore, era solito inserire sotto la maglietta della Roma messaggi romantici alla moglie e mostrarli dopo un gol. Qui si ironizza su alcuni aspetti della loro separazione. L’altro meme ironizza sulla poca conoscenza dell’italiano da parte di Cassano».
D.d.F. «Non riesco a dire quale meme mi abbia divertito di più, anche perché ve ne sono tanti, pure fortissimi, che, per forza di cose, non abbiamo potuto inserire nel libro. Trovo irresistibile la “serie” che prende spunto da un episodio di Sanremo 2020. Morgan e Bugo, presentatisi in coppia, sono protagonisti di un litigio in diretta. Il primo modifica durante la performance le parole della loro canzone per umiliare il collega, che lascia improvvisamente il palco, seccato. Quando Morgan si accorge di ciò, pronuncia le parole: «Che succede?». La domanda diventa il tormentone alla base di vari meme. L’immagine e il testo diventano presto virali e cominciano a essere usati per indicare l’atteggiamento di chi comprende benissimo la situazione in cui si trova, ma fa finta di non capire. In questo contesto esse si prestano a rideterminazioni in cui l’immagine e la frase «Che succede?» restano fissi, mentre varia il testo di apertura. Una seconda possibilità si realizza quando la battuta resta fissa, ma viene inserita una nuova immagine, come nel meme con re Carlo III vestito come Morgan. Dallo stesso episodio sanremese è tratta un’altra serie di meme che prende spunto dalle battute che Morgan e il conduttore Amadeus si scambiano nella concitazione del momento («Dov’è andato Bugo?», «Vado a vedere dov’è Bugo»), che diventa «Dov’è Bugo?», sempre a indicare una finta sorpresa. Il modulo linguistico diventa presto un tormentone, tanto da generare soluzioni come nel meme che richiama un noto avvenimento politico. Nel gennaio 2021, in occasione del voto di fiducia al governo, la allora presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati fa invocare le registrazioni in video del Senato (si parla, infatti, scherzosamente di var) per verificare la presenza in aula del senatore barese Alfonso Ciampolillo. Un esempio di diffusione istantanea di meme è la proliferazione di quelli generati dalla famigerata pubblicità dell’Esselunga, che a sua volta aveva dato il via a un incessante dibattito social».
Tutta questa metacomunicazione, per quanto divertente, non sarà sterile? Tutto si consuma ed esaurisce nell’ambiente ludico virtuale e vien da chiedersi se tanto tempo ed energia non sarebbero degni di miglior causa nella vita reale.
P.O. «In parte è vero, ma è la comunicazione dei nostri tempi e va accettata. Piuttosto, è importante poter vedere il bicchiere mezzo pieno in questa circostanza e il linguista ha il dovere di credere che da questa forma di comunicazione possa nascere qualcosa di buono. Il libro nasce proprio con questo intento: insegnare la grammatica partendo dal meme, anche dall’errore di grammatica, perché siamo certi che l’errore rimanga più impresso nella mente dello studente. Il fine da cui nasce la pubblicazione prende spunto dall’umorismo pirandelliano: l’umorismo è il sentimento del contrario. Sul momento il meme crea ilarità, divertimento. Poi, attraverso una sana riflessione, potrebbe diventare uno spunto per capire meglio come modulare la lingua italiana ed evitare strafalcioni linguistici».
D.d.F. «Mi piace rispondere alla domanda con la frase che il maestro Serianni ha proferito durante la sua lezione di congedo alla Sapienza nel 2017: “Chi ha scelto di fare l’insegnante ha scommesso sui propri scolari e in generale sui giovani; insomma non può prendersi il lusso di essere pessimista”. È una sorta di mantra che mi ha accompagnata nell’ingresso nelle mie classi prima e nelle aule universitarie dopo».
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