Pescara

“Il Principe” Vandelli: «Torno e canto Battisti, qui per portare la gioia»

5 Dicembre 2025

Lo storico leader degli Equipe 84 (nella foto insieme a Lucio Battisti) il 10 dicembre a Pescara, «La mattina mi alzo e mi dico allo specchio: guarda che figo»

PESCARA. Maurizio Vandelli, storico leader dell’Equipe 84 e massimo esponente del beat italiano. Soprannominato “il Principe” per i suoi meriti musicali, ci risponde al telefono con la sua schietta ironia che lo ha reso iconico: «Ma quale Principe! Principe sarà lei», scherza mentre lo contattiamo alla vigilia dello spettacolo di mercoledì 10 dicembre al Teatro Circus di Pescara, Emozioni Garantite - Vandelli canta Battisti. Un progetto ideato dallo stesso cantante e nato durante il Covid, quando «ho sentito il bisogno di tornare a divertirmi e far divertire».

Un doppio lavoro, a dire il vero: libro e show portano lo stesso nome, Emozioni Garantite. «“Emozioni” perché si canta Battisti, “Garantite” perché le canto io. Sono umile, che volete farci», ride. Poi si fa più serio: «All’inizio avevo pensato a un karaoke gigante, volevo tornare a divertirmi per primo. Cantare con la gente, rivedere i volti felici. Mi hanno fatto cambiare anche il nome allo spettacolo in Vandelli canta Battisti: dicono che così si capisce meglio… bah».

Un ritorno per lei in Abruzzo. Bei ricordi qui?

«Vado piano con i ricordi a questa età, se no sono problemi. Ma Piazza Salotto a Pescara me la ricordo eccome: tre anni fa, meraviglioso».

Sul palco tornano Battisti ed Equipe 84, insieme per un motivo preciso?

«La gioia, certo. A Reggio Calabria c’erano diecimila persone che cantavano a squarciagola: uno spettacolo. È reciproco: io do qualcosa, ma quello che ricevo è di più».

La sua storia comincia molto prima dei palchi, con le prime radio libere che attraversavano l’Europa.

«Ascoltavamo le radio internazionali tutte le notti: Radio Luxembourg, Radio Caroline. Nessuno immaginava che il beat sarebbe diventato il veicolo della nostra felicità. Io lo amavo per la ritmica nuova, i cori diversi, la magia. Le frequenze sparivano, tornavano. Alimentavano il mistero».

Poi l’ingresso nelle radio locali.

«Popi Minellono, grande autore e liricista, mi tirò dentro a Radio Centro Brianza. Una trasmissione serale, una volta a settimana. Lo sponsor era il macellaio che ci dava le bistecche. Eravamo agli inizi. Mi sono imparato a divertire nelle mie rubriche, soprattutto quelle politicamente scorrette. Erano luoghi dove si poteva sperimentare».

Nel libro lei dice che la musica è connessa alla matematica. In quale senso?

«Nel senso che sono intrecciate, ma nella testa dell’uomo c’è spazio solo per una delle due alla volta. Io sono assorbito completamente dalla musica. Si devono alternare nel cervello: non mi ricordo le date, i compleanni, neanche l’appuntamento dal dentista… però c’è la musica. Le note rimangono sempre».

E la musica di oggi? Che ne pensa del rap e dei nuovi generi?

«Sono bravi, intendiamoci. Però vorrei dire una cosa sull’autotune… è uno strumento utile, ma oggi si esagera. Vent’anni fa Cher lo usò in una sola frase. Mi scoccia che qualcuno entri nel mondo musicale solo grazie a questo espediente. Senza, certi lavori non si potrebbero neanche ascoltare, mi viene da rimettere».

I cantanti sono diventati influencer?

«Non esageriamo. Di artisti bravi ce ne sono. Achille Lauro, musicalmente, mi piace: scrive molto bene. Come personaggio meno. Lucio Corsi? Va a Sanremo truccato come i Kiss ma con il vestito cucito dalla nonna e poi fa un pezzo extra con Topo Gigio… non ci capisco più nulla».

Il libro racconta una vita fatta di slanci, incontri, deviazioni improvvise. C’è qualcosa che non rifarebbe?

«Rifarei tutto. È bella l’improvvisazione nella vita. Ci sono colpi di stima, colpi bassi e colpi dati da belle donne. Fa tutto parte del percorso».

Prima di salutarci, torna il sorriso.

«La mattina mi alzo e mi dico: guarda che figo. Bisogna essere positivi. Bisogna portare gioia».

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