«La folla problema dei grandi musei e non dei piccoli» 

Lo storico, critico e curatore d’arte abruzzese «Il distanziamento non colpisce le gallerie»

«Il problema del distanziamento sociale si porrà per i grandi musei come gli Uffizi e le grandi mostre come Raffaello alle Scuderie. I musei d’arte moderna e contemporanea, a parte un Moma o un Pompidou, sono poco frequentati, il problema della distanza non ce l’hanno proprio. Passata l’inaugurazione di una mostra non c’è mai tutta questa folla, nemmeno al MAXXI. Ma è così in tutto il mondo. Sono luoghi di sperimentazione, per definizione frequentati da poche persone. Paradossalmente musei e gallerie che stavano peggio staranno meglio di strutture da centinaia di migliaia di visitatori che devono spendere soldi in misure di sicurezza e distanziamento. Il problema sarà dei grandi musei e non dei piccoli».
In vista della riapertura dei musei il 18 maggio, vede una riscossa degli spazi dedicati all’arte moderna e contemporanea lo storico, critico e curatore d’arte Giacinto Di Pietrantonio. Abruzzese da tempo in Lombardia, dal 1992 docente all’Accademia di Brera, per quasi vent’anni direttore della Gamec di Bergamo, Di Pietrantonio è tra i massimi riferimenti in Italia per l’arte contemporanea. Ma porre gli steccati di una definizione ai suoi vasti saperi e interessi è un’operazione riduttiva. E infatti lui non pone limiti alla cultura e all’arte, «alta e popolare, trasversale, interdisciplinare e indisciplinata».
Se ne ha un esempio con la rubrica “Miti e mitologie dell’arte”, serie di video che dal 25 marzo Di Pietrantonio va pubblicando sul suo canale You Tube. Conversazioni dallo studio di Como, ognuna su una regione italiana, un colta affabulazione a ruota libera tra mille rimandi, citazioni, deviazioni.
Con due insoliti compagni di viaggio, un piccolo Pinocchio di plastica e una testa in ceramica policroma del maestro Ugo La Pietra, originario di Bussi sul Tirino. Ogni puntata una regione e una testa.
Professore com’è nata l’idea di “Miti e mitologie dell’arte”?
Non avevo mai fatto dei video. Però la contingenza della reclusione mi ha fatto scoprire questa modalità di comunicare. Ero partito con l’idea di rivolgermi ai miei studenti, poi però ho collocate le conversazioni su You Tube, dove possono seguirle tutti. Lo spunto me l’ha dato l’opera di Ugo La Pietra “Unità della diversità”, 20 teste-vaso, ognuna per una regione italiana, più un’Italia turrita, che l’artista realizzò nel 2011 a Caltagirone riprendendo la tradizione locale. L’opera fu realizzata per il 150° dell’Unità d’Italia ed esposta a Torino in una collettiva sulle eccellenze italiane. In ogni testa sono sintetizzati gli elementi identitari di quella regione, solo nella ceramica dedicata all'Abruzzo oltre all’orso e al bosco c’è l’autoritratto di La Pietra. Il titolo dell’opera esprime bene la ricchezza e varietà di bellezze artistiche e naturali delle regioni italiane. Così ho deciso di raccontarle. Ho iniziato questa rubrica quasi per gioco, partendo dalla Lombardia. Poi mi sono reso conto che queste teste contenevano molte cose, come le teste vere. Andando a braccio le conversazioni sono cresciute fino alle tre ore sull’Emilia Romagna. In questo rompo le regole dei social, dove i video sono brevi, brevissimi.
E Pinocchio? Compare anche nel logo dei video in stile Metro Goldwyn Mayer. Il logo è stato disegnato da Danilo Sciorilli, un artista molto bravo di Atessa che vive a Torino. Intendo la cultura come qualcosa di totale, fatta di tanti livelli come le persone. La cultura popolare non è bassa, ma originaria. Pinocchio è un personaggio pop, conosciuto in tutto il mondo. È curioso, come me. È un ficcanaso disobbediente, ma anche un simbolo di libertà. Non voglio essere blasfemo, ma come per la Bibbia l’uomo viene impastato a partire dal fango, Pinocchio viene creato dal legno. Il suo autore Lorenzini (in arte Collodi, ndr) aveva ben presente questa idea biblica dell’origine dell’umanità.
Nella sua formazione quanto ha contato la cultura popolare?
Tanto, dire il contrario significherebbe rifiutare le mie origini, sono nato e cresciuto con la cultura popolare, in un paesino come Lettomanoppello, mio padre era operaio, mia madre casalinga. Sono quello che sono anche grazie a tutto questo. La cultura popolare è un centro fondamentale. La Pietra non si definisce artista bensì operatore sinestetico, che mette a fusione vari linguaggi e vari saperi. Cosa molto abruzzese.
Nonostante l'isolamento patito ancora a lungo dopo il secondo dopoguerra l’Abruzzo ha prodotto un’incredibile fioritura di intellettuali, artisti e galleristi, protagonisti dell’arte contemporanea.
Molti si sono affermati fuori. A parte Ettore Spalletti, rimasto sempre a Cappelle sul Tavo. Ma di Spalletti ce n’è uno solo. L’Abruzzo è stato un centro importante per l’arte contemporanea, con Manzo, Fuori Uso, Beuys, Summa. Oggi penso a Vistamare. Ma è sempre una sorta di volontariato. L’Abruzzo si divide tra tradizione e modernità, rappresentata anche dalle città, e tra cultura e natura. Il Parco nazionale è stato uno dei primi luoghi protetti al mondo, e già Benedetto Croce era stato il primo a suggerire nella Costituzione una norma di tutela ambientale. D’Annunzio era modernissimo, nella poesia come nella vita. Lo stesso Michetti è espressione della pittura ottocentesca ma fa un lavoro avanzato con la fotografia, di cui capisce la modernità. Artisti e galleristi hanno visto nella modernità e contemporaneità la possibilità di innovazione e riscatto.
Ha diretto la Gamec di Bergamo per 18 anni, un record in Italia per un direttore a contratto, e ora siede in consiglio. Un legame forte e duraturo con il museo e con la città. Cosa ha provato per la tragedia dell’epidemia che lì ha colpito così duramente?
Un dispiacere molto forte. Bergamo è la mia seconda città. Pur facendo ogni giorno il pendolare da Milano, dove abitavo, Bergamo è il luogo dove ho passato la maggior parte del tempo dopo l’Abruzzo. Una città che frequentavo anche prima di dirigere la Gamec. Le sono molto legato, ho tanti amici, conosco tantissime persone. Questa tragedia mi ha fatto stare molto male, sono molto rattristato. Ma i bergamaschi sono un popolo tosto, come gli abruzzesi, ne sapranno uscire e riprendersi. Oltre a essere molto bella, Bergamo è stata la prima città lombarda ad avere nel 1990 un museo d’arte moderna e contemporanea. È una città proiettata nel futuro e nell’avanguardia. In architettura ha battuto la strada della sperimentazione 10-12 anni prima di Milano col Kilometro Rosso di Jean Nouvel e la nuova sede dell’Italcementi di Richad Meier. Lorenzo Giusti, attuale direttore della Galleria, si è inventato Radio Gamec che trasmette ogni giorno con ospiti di varie discipline e professioni. Non bisogna scoraggiarsi, ma sforzarsi di trovare anche in questa contingenza i lati positivi, cercando di riempire il bicchiere mezzo vuoto anziché svuotarlo del tutto».
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