Linus a Pescara con “Radio Linetti”, l’intervista: «Vi porto le emozioni, i ricordi e i miei dischi»

3 Dicembre 2025

Al teatro Circus sabato 6 dicembre arriva il celebre speaker e direttore artistico di Radio Deejay. Con lui sul palco anche Matteo Curti, «una specie di coscienza»

PESCARA. Quando la radio diventa un live in teatro non può che esserci lo zampino del direttore artistico ed editoriale di Radio Deejay, speaker radiofonico da quasi cinquant’anni, Linus. Dopo il grande successo della scorsa tournée, che ha registrato il tutto esaurito in ogni tappa, il suo spettacolo Radio Linetti Live in Tour arriva sabato 6 dicembre al teatro Circus di Pescara, dalle 21. Direttore editoriale di Radio m2o, direttore artistico di OnePodcast, e da maggio 2025 anche presidente di Elemedia, Pasquale Di Molfetta – questo il suo nome vero – racconta al Centro con ironia e umiltà i suoi anni in radio, il successo da oltre trenta della sua trasmissione Deejay chiama Italia, che conduce insieme al collega e amico Nicola Savino, ogni mattina dalle 10 alle 12.

Un sodalizio che però Linus ha sciolto, solo per questo nuovo lavoro teatrale: sarà infatti accompagnato da Matteo Curti, voce di spicco di Radio Deejay. Lo show portato nei teatri italiani è un viaggio personale e coinvolgente tra ricordi, emozioni, parole, aneddoti sorprendenti e brani che hanno segnato i momenti più importanti della vita di Linus e della sua carriera lavorativa. Radio Linetti live in tour vuole offrire al pubblico la possibilità di vivere un’esperienza capace di unire leggerezza e profondità, abbattendo i confini tra radio e ascoltatori, tra palco e platea.

Linus, come nasce Radio Linetti live in tour?

«Nasce dall’idea di mettere insieme due cose, come ha fatto Bruce Springsteen, che nel 2018 ha scritto un’autobiografia poi diventata racconto teatrale: c’è lui da solo sul palco di un piccolo teatro con la sua voce e la sua chitarra. Io, a differenza sua non canto e non suono, ma metto i dischi, così mi sono ricordato di Radio Linetti».

Un programma radiofonico che ebbe successo sotto pandemia, realizzato però in casa…

«Si, Radio Linetti nasce durante il lockdown, c’era chi si dilettava in cucina e faceva il pane… e io che, non sapendo cucinare, mi sono ricordato di avere in casa vinili e giradischi. Nella tristezza di quel periodo è stata un’idea molto bella, durata poco perché, per fortuna, si è tornati alla normalità. Anche se mi è rimasta quella voglia di portare avanti quel modo di raccontare la musica, un po’ come si faceva in passato».

Questo è il secondo anno di tour: nel primo ha registrato sempre sold out. Se lo aspettava?

«No, direi che è stato veramente incredibile. Lo spettacolo ha avuto il tutto esaurito già nel suo primo tour dell’anno scorso, una quarantina di date. Quest’anno abbiamo nove date per tutt’Italia, la prossima a Pescara, ogni sera è un’emozione diversa».

Sul palco non sarà solo.

«La mia spalla in questo lavoro teatrale è Matteo Curti, una specie di coscienza: ogni tanto mi punzecchia, mi provoca nei vari racconti».

Ci parli dello spettacolo, cosa racconta?

«In due ore parlo praticamente ininterrottamente, con la musica a fare da cornice con brani che hanno segnato la radio italiana, dalla metà degli anni ’70 fino agli anni ’90, da Lucio Battisti a Jovanotti, con tutto ciò che c’è nel mezzo».

Veniamo a lei e all’esordio come direttore artistico di Radio Deejay.

«È successo più di trent’anni fa, quando Claudio Cecchetto va via era il 1994 e io ero ancora un ragazzo. Adesso ammetto di aver accettato il ruolo facendo un atto di incoscienza, dal momento che lavoravo semplicemente in radio con un mio programma, mentre lui era un imprenditore molto creativo che si era inventato tutto quello che stava intorno a me e ai miei colleghi di allora. Però dai, se dopo trent’anni siamo ancora qua vuol dire che qualcosa di buono sono riuscito a farlo».

Da bambino sognava di fare il conduttore radiofonico?

«In realtà non l’ho mai pensato. Ho avuto la fortuna di avere l’età giusta nel momento giusto, perché ai miei 17-18 anni sono esplose le radio private e quasi tutti quelli della mia generazione ci hanno provato per gioco, nessuno si aspettava che poteva diventare una professione. Un gioco che a me via via è sfuggito di mano (ride), dopo cinquanta anni sono ancora qua».

Parla della sua trasmissione Deejay chiama Italia?

«Sì. Questo programma radiofonico mi dà grandi soddisfazioni ogni giorno, è il più ascoltato d’Italia. Gli ascoltatori pare ci vogliano ancora tanto bene e questo mi dà energia e stimolo per continuare».

A cosa è dovuto questo successo così longevo?

«Credo alla realtà. Vivo in maniera del tutto normale, non mi isolo come molti personaggi hanno fatto o fanno, io al contrario cerco di fare molte cose. Sono in mezzo alla gente, mi piace il contatto con le persone e prova ne è questo nuovo progetto del teatro: mi permette di stare tutte le sere con mille persone che hanno reazioni fisiche che vedo, invece in radio sostanzialmente parlo da solo, davanti a me c’è una parete. Il segreto è il non isolarsi in un mondo autoreferenziale».

In tutti questi anni in radio, ha mai pensato di lasciarla per fare altro, magari nel mondo dello spettacolo, come altri suoi colleghi, da Gerry Scotti a Luca Laurenti?

«No. Anche se sono una persona molto instabile dal punto di vista emotivo, mi stanco subito delle cose. Questo è il motivo per cui, quando per molto tempo faccio la stessa cosa, provo a farla nella maniera migliore e innovandola. Da quarant’anni entro nello stesso portone a Milano e un po’ di sconforto c’è... Ma in verità ogni giorno la puntata cambia ed è diversa dalla precedente, ogni anno è nuovo...».

Invece le candeline della radio italiana sono state cento, nel 2024.

«Dopo cento anni la radio è ancora presente. Nel mentre sono nate le televisioni commerciali, quelle musicali, poi Internet e dopo i social. Questo la dice lunga sul suo potenziale».

Secondo lei perché?

«Perché è talmente efficace e veloce il suo modo di comunicare che non tramonterà mai, a patto che si metta sempre in discussione, restando a passo con i tempi. Per esempio, in questo momento storico, fare una radio solo musicale o con pochissimo parlato, non è un’idea vincente».

L’IA è un pericolo in radio?

«No, non penso. Il segreto della radio secondo me è nell’anima. La tecnologia ha sicuramente ragione di vivere, ma nel caso dell’intelligenza artificiale non potrà mai competere con la personalità dell’individuo e del personaggio. Può però affiancarlo».

C’è un altro trionfo fuori da via Massena, la Deejay Ten. Ma lei è un Re Mida?

«La corsa è un po’ la metafora della vita: quando sei giovane fai tante cose, scatti veloce, ma quando sei adulto rallenti e impari il piacere delle cose durature. Non potendo più giocare a calcio a causa di una rottura del ginocchio nel 2000, ho iniziato a correre, poi si sono uniti un po’ di amici e alla fine è diventata una maratona per migliaia di gente».

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