Maraini: «La scrittura di John Fante ha la grazia di un dipinto di Rousseau»

L’autrice riceve il Premio alla carriera a Torricella Peligna: «Il suo candore nasconde in realtà una forza rivoluzionaria». E poi: «Suggerirei di uscire dall’incantesimo dannunziano»
TORRICELLA PELIGNA. Esiste un filo di dolore, privazioni, sofferenze che unisce la sintassi dal ritmo disallineato di un mostro della letteratura americana come John Fante e l’eleganza stilistica della regina della narrativa italiana, Dacia Maraini. E quel filo oggi unisce queste due eccellenze della letteratura attraverso il conferimento del Premio John Fante alla carriera-Vini Contesa alla scrittrice italiana che è molto legata all’Abruzzo. Non a caso trascorre gran parte dell’anno a Pescasseroli. Oggi alle 18, nella pineta comunale di Torricella Peligna, la scrittrice, che dialogherà con la giornalista Maria Rosaria La Morgia, riceverà il riconoscimento. Abbiamo chiesto a Dacia Maraini di approfondire il ruolo dell’autore americano con la famiglia di origini abruzzesi.
John Fante, “il narratore più maledetto d’America”, come lo definì Charles Bukowski, è stato per certi versi il propulsore di un’innovazione narrativa. L’essere fuori dagli schemi ha rappresentato per lui un limite o un vantaggio?
«Per me la sua scrittura ha la grazia di un pittore come Rousseau. Un candore che nasconde la sua forza rivoluzionaria sotto un’apparenza illetterata. Si sente l’autodidatta che per fortuna lo esclude da ogni formazione accademica, e lo rende originale».
Le difficoltà economiche, i litigi tra John Fante e il padre, il coraggio di trasferirsi a Los Angeles a cercare fortuna con la scrittura assomiglia molto a un romanzo d’avventura. In che misura la povertà e i sacrifici possono incidere sulla vena creativa di uno scrittore?
«Beh, basta pensare a Jack London e alle sue peripezie per capire quanto le difficoltà possano sia portare alla disperazione e alla autodistruzione oppure a una forza reattiva che sfocia nella creatività. George Orwell, Charles Dicken sono altri esempi lampanti».
Cosa si prova a ricevere il premio alla carriera intitolato a un figlio dell’Abruzzo? Tu che dell’Abruzzo sei ormai una cittadina onoraria?
«Si prova un senso di orgoglio. Pur non essendo nata e vissuta in Abruzzo, ci ho messo delle radici che credo profonde. Amo le sue montagne e ho stretto rapporti di sincera amicizia con molti abruzzesi».
Nell’ultimo periodo si assiste a un ritorno in auge, tra Premi e convegni ad hoc, di scrittori abruzzesi che negli anni erano rimasti un po’ in disparte. A partire da Ignazio Silone e dalla sua Fontamara. La riscoperta dei classici è una buona notizia, che ne pensi?
«Credo che il culto di D’Annunzio abbia oscurato in parte il valore di altri scrittori abruzzesi straordinari come Ignazio Silone, Ennio Flaiano, John Fante per l’appunto e Laudomia Bonanni».
Qual è il libro di Fante che ti è piaciuto di più? E perché?
«Forse Chiedi alla polvere, il primo che ho letto e che mi ha fatto impressione per la sua disperata vitalità, come direbbe Pasolini».
C’è uno scrittore in particolare che ti abbia ispirata?
«Il primo libro che ho letto, ovvero Pinocchio, anzi che mi è stato raccontato da mia madre mentre eravamo nel campo di concentramento giapponese per antifascisti dove non c’erano libri di nessun genere. Credo che Collodi abbia trattato tanti temi: maternità fiabesca, la noia dello studio accademico, la tentazione del gioco, il male fatto carne e l’irresponsabilità fatta pensiero».
All’incontro in occasione del conferimento del premio, parteciperanno anche gli studenti dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Algeri Marino” di Casoli. Quanto è importante per le giovani generazioni la riscoperta di autori scomodi come Fante?
«Penso e lo dicono i fatti che i giovani si riconoscono nella disperazione tinta di ironia e cattiveria di John Fante. Ma sopratutto suggerirei di uscire dall’incantesimo dannunziano, scrittore che stimo ma che viene identificato con lo spirito abruzzese, mentre le cose sono più complicate e differenziate e contengono esperienze letterarie diverse da quelle del vate».
Secondo la rilevazione dell’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori (AIE) del 2024 nel Meridione si registra il 30% in meno di librerie rispetto alla media nazionale. Eppure tra i giovani si assiste a un aumento di lettori. Siamo di fronte alla crisi del libro cartaceo e all’avvento delle nuove tecnologie oppure c’è un’altra spiegazione?
«Purtroppo sì, molti leggono solo su iPad e computer. E così si perde la duttilità della carta. Fra l’altro la carta è organica e quindi più vicina al nostro corpo. Anche a me capita, viaggiando di portarmi dietro il Kindle per leggere diversi libri che non potrei mettere in valigia, ma in casa ho dieci mila libri e appena posso mi affido alla carta che sento amica e vicina».
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