Piero Mazzocchetti e il ricordo di Pippo Baudo: «Vent’anni fa mi volle tra i Big di Sanremo»

Il tenore pescarese ricorda l’esordio sul palco dell’Ariston: «Mi esibii subito, la prima sera: sconosciuto tra i campioni»
MONTESILVANO. Sono passati quasi vent’anni da quel Sanremo 2007, ma Piero Mazzocchetti ricorda ogni dettaglio come fosse ieri. Una canzone, Schiavo d’amore, la firma dell’abruzzese Maurizio Fabrizio su testo di Guido Morra, e soprattutto un uomo: Pippo Baudo. Fu lui a volerlo fortemente tra i Big, nel tentativo – riuscito – di rilanciare il Festival, di cui era tornato a essere direttore artistico. «Quando, qualche settimana prima, prese in mano la busta gialla in diretta a Domenica in, tremavo più che alla finale dei Mondiali di Berlino», racconta il tenore “crossover” originario di Montesilvano. «In casa fu il caos: abbracci, telefoni impazziti, clacson sotto le finestre. Pippo aveva appena detto: “I sogni diventano realtà. È partito da Pescara con una valigia di cartone per andare in Germania, dove ha avuto un grande successo…”. Da lì è cominciato tutto». Con una carriera già affermata in Germania, Mazzocchetti fu uno dei pochi artisti selezionati da Baudo per la categoria Campioni. Una scelta coraggiosa, che premiava il merito internazionale e apriva il palco di Sanremo a una voce fuori dagli schemi. Oggi, ripensando a quell’esperienza, l’artista abruzzese racconta l’opportunità che gli fu data ma anche il metodo, la visione e la cura maniacale che Baudo metteva in ogni dettaglio.
Come è nato il vostro rapporto?
«Ci conoscemmo qualche mese prima del Festival, grazie al manager Adriano Aragozzini. Tra noi scattò subito una grande empatia. Mi colpirono la sua cultura, lo spessore umano e musicale».
Ha un ricordo particolare di quei giorni?
«Alle prove: il finale del brano ricordava un po’ Con te partirò di Bocelli. Pippo fermò l’orchestra, salì sul palco e disse: “No, non va bene così”. Si mise al pianoforte con me, provammo un nuovo finale. “Ripeti due volte ‘finirà’, evita di cantare ‘con te’”, mi suggerì. Provammo con l’orchestra e venne fuori una chiusura migliore».
Ma era davvero così pignolo?
«Assolutamente sì. Ma con un obiettivo preciso: proteggere l’identità di ogni artista. Diceva: “Tu sei Mazzocchetti, Bocelli è Bocelli”. Sapeva che un dettaglio, anche minimo, poteva fare la differenza».
Il debutto sul palco?
«Una botta di responsabilità. Mi esibii per secondo, la prima sera. Ero praticamente uno sconosciuto tra i Campioni. Ma Pippo insisteva: “Questo pezzo deve andare subito, è fortissimo”. E aveva ragione. Quell’edizione fu un successo: ascolti da record, un cast importante con Tosca, Al Bano, Fabrizio Moro, Simone Cristicchi che poi vinse… Mi trovai in mezzo ai giganti».
Perché Baudo la volle tra i Big e non tra i Giovani?
«Mi disse: “Se la metto nei Giovani la brucio. Ha venduto quasi mezzo milione di copie in Germania, non è giusto”. Guardava avanti. Mi parlava già degli artisti che sarebbero arrivati dall’estero, dai social, dal digitale. Diceva: “Sanremo cambierà”. E così è stato».
Avete continuato a sentirvi dopo il Festival?
«Sì. Ci siamo rivisti più volte, anche quando Beppe Vessicchio produsse un mio disco. Pippo era affettuoso, quasi paterno. Un giorno organizzò persino una sorpresa: invitò mia sorella gemella Silvia a Domenica in. Aveva un lato umano che la tv spesso non raccontava».
Che immagine conserva di lui?
«Un uomo che ha dato tutto al lavoro. Forse anche troppo. Questo lo ha reso, a tratti, una persona sola. Le amicizie nello spettacolo spesso evaporano quando si spengono le luci. Ma lui ha sempre avuto un rispetto profondo per la musica e per chi la fa. Per me è stato un maestro».
Oggi che è direttore artistico di festival e talent, c’è un po’ di Baudo nel suo modo di lavorare?
«Assolutamente sì. Con i progetti che porto avanti cerco di trasmettere qualcosa che ho imparato da lui: il rispetto per l’artista, la cura per ogni dettaglio».
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