La morte di Taccone

Addio Camoscio d’Abruzzo, finisce un’epoca

Il corpo senza vita ritrovato ieri mattina dal figlio Cristiano

AVEZZANO. Gli restava un’ultima salita da affrontare, quella che lo avrebbe condotto sotto lo striscione della riabilitazione. Purtroppo Vito Taccone, 67 anni, il Camoscio d’Abruzzo, ha ceduto prima. Vito è stato tradito dal suo cuore d’acciaio sulla pendenza più ardua, quella dell’amarezza e della delusione. Il suo corpo ieri è stato trovato accanto al letto, riverso sul pavimento, senza vita. Forse ha cercato disperatamente di chiedere aiuto, ma inutilmente. Niente gran premi della montagna in sella alla bici stavolta, niente traguardi bruciati nel vento.

È la fine di un mito. Non è riuscito a richiamare l’attenzione della famiglia, nell’unico momento in cui, vittima di un destino beffardo, si è trovato solo dentro la sua stanza: lui e la moglie dormivano in stanze diverse perché l’ex ciclista russava. Morto in solitudine: proprio lui che ha avuto il privilegio, durante tutta la sua vita, di godere sempre dell’affetto dei familiari e di tanti amici sinceri.

LA SCOPERTA. Il figlio Cristiano, intorno alle 7 del mattino, è entrato nella stanza del padre per prendere una felpa. Agghiacciante la scena che si è presentata davanti ai suoi occhi. Suo padre a terra, immobile. Il giovane ha tentato di soccorrerlo, ma ormai non c’era più niente da fare.

Sul posto si sono precipitati subito i familiari e l’avvocato Crescenzo Presutti, legale del Camoscio e amico di famiglia. Il medico ha stabilito che la morte risaliva ad almeno 6-7 ore prima.

LA SERA PRIMA. Taccone non si sentiva molto bene e aveva detto a sua moglie Fausta Verdecchia che preferiva andare a letto. Così la donna ha preferito non svegliarlo per lasciarlo riposare. Vito stava attraversando un periodo nero. La sua verve, il suo consueto dinamismo avevano lasciato il passo all’apatia, a una rabbia mista a rassegnazione.

Le ultime vicende giudiziarie lo avevano provato. «Fate qualcosa, fate qualcosa, mi hanno tagliato la faccia, così non posso vivere», le parole che soleva ripetere ai suoi avvocati Antonio Milo e Crescenzo Presutti. Non reggeva più il confronto con la gente. Gli erano nati amche dei nipotini e lui voleva una riabilitazione anche per loro.

Era stanco, depresso, piangeva spesso. Aveva lo sguardo spento, era remissivo, sembrava che gli fosse sparita quell’indole battagliera. Il suo timore - «Non voglio fare la fine di Enzo Tortora» - si è purtroppo avverato. Taccone andava tutti i giorni allo studio legale dell’avvocato Presutti. «Ribadiva il suo desiderio di essere processato», ricorda il legale, «stava male ed è morto di crepacuore. Alle altre vicende della sua vita aveva sempre reagito con forza, stavolta invece no»
 
GLI AVVOCATI. «Senza voler strumentalizzare la morte, che è un evento dolorissimo», dichiara Antonio Milo, anche a nome del suo collega Presutti, «è evidente che in questa vicenda le responsabilità del giudice per le indagini preliminari sono evidenti. Pur condividendo, per ipotesi dialettica, che gli inquirenti possano convincersi della bontà di una tesi e chiedere quindi la misura cautelare, è stato grave il comportamento dell’organo giurisdizionale terzo, che è il gip.

Egli, infatti, deve verificare la fondatezza della richiesta accusatoria, filtrare, esaminare con molta, molta cautela le carte per verificare che ci siano effettivamente le ragioni per arrestare una persona». «Perché allora», aggiungono i due avvocati, «non è stato fatto un processo inquisitorio a piede libero? Si poteva agire senza ricorrere a questa forma estrema che è il carcere e poi verificare l’ipotesi accusatoria, ma con un Taccone libero.

Questo è un passaggio importantissimo. Se ci sia un nesso tra questo passaggio giudiziario e la morte è un aspetto che i familiari vogliono capire. Comprendere cioè fino a che punto l’arresto deciso dal gip abbia inciso sullo stato di salute di Taccone e se ci sia un nesso di condizionamento anche indiretto tra le due cose. Su questo bisognerà fare chiarezza.

Noi abbiamo ricevuto l’incarico dalla famiglia e andremo avanti fino in fondo in tutte le sedi». Parole dure e senza sconti che alimenteranno parecchie polemiche. «Questa vicenda valga come monito a tutti», concludono, «come insegnamento a tutta la magistratura e alla collettività. Bisogna usare il carcere con molta prudenza. Di fronte c’era una persona anziana, che necessità c’era di arrestarlo? Lui viveva con amarezza e dolore l’arresto ingiusto.

Questo ha minato il suo stato di salute e bisognerà vedere se sono state usate legerezza e superficialità nella custodia cautelare in carcere. Ci sta bene anche che i Pm chiedano il carcere, rientra nel gioco delle parti. Ma il gip deve verificare se esistano i presupposti. Ha deciso l’arresto conoscendo a menadito atti del Pubblico ministero e intercettazioni? Abbiamo seri dubbi in proposito».

IL CORDOGLIO. Un via vai impressionante ha testimoniato l’affetto della gente per il suo campione. Si sono formate lunghe file davanti all’abitazione di Taccone per rendere omaggio a «un eroe della Marsica. Gente comune, sportivi e personaggi di vario genere in attesa per salutare il Camoscio d’Abruzzo nella stessa stanza in cui è avvenuto il decesso.

I FUNERALI. Le esequie di Taccone si svolgeranno oggi alle 11, nella chiesa San Giovanni di Avezzano, situata nell’omonima piazza, di fronte al castello Orsini e a poche centinaia di metri dalla sua abitazione.
 
IL LUTTO CITTADINO. «Nello sport italiano, abruzzese, marsicano e avezzanese ha rappresentato un campione di levatura mondiale». Questo il primo commento del sindaco di Avezzano, Antonio Floris, che ha deciso due giorni di lutto cittadino. «Grazie a lui», ha aggiunto, «Avezzano e la Marsica sono saliti agli onori delle cronache internazionali per le gesta sportive che lo hanno caratterizzato.

È stato un personaggio dello sport per certi versi discusso ma con notevoli meriti sportivi. Tali e tante sono state le sue gesta che hanno portato poi a “limare” aspetti esuberanti del suo carattere. È stato anche amministratore della nostra città ed ha, anche in questo ruolo, messo a disposizione sempre il suo altruismo e la sua grinta come nelle gare ciclistiche».

Bandiere a lutto per la scomparsa di Vito Taccone: lo ha deciso il presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, subito dopo aver appreso la notizia della morte del ciclista marsicano. «Vito Taccone è stato un grande abruzzese», scrive Del Turco nel suo messaggio di cordoglio, «Della sua terra aveva tutte le caratteristiche più belle.

E anche nelle sue esagerazioni c’era la misura di un orgoglio che nasceva da una insopprimibile voglia di riscatto». La sua carriera sportiva, ricorda il presidente della Regione, «è una leggenda del ciclismo italiano. Le sue vittorie sono state anche le vittorie di un popolo che trovava nelle sue gesta lo spirito per un vero e spontaneo sentimento unitario. La Regione mette a lutto le sue bandiere perché gli anziani ricordino e i giovani sappiano».