Amiternum, i segreti della storia riemergono coi lavori tre la rovine del "piccolo Colosseo" / Foto

Lavori in corso all’Anfiteatro e al teatro dell’antica città. Il terremoto ha causato danni di una certa entità

L’AQUILA. «Il piccolo Colosseo». Così è conosciuto l’Anfiteatro romano del I secolo a.C. che, insieme al Teatro, costituisce il sito archeologico di Amiternum. Un luogo che restituisce ogni giorno piccole o grandi parti di storia antica. L’ultima, emersa durante la cantierizzazione per realizzare uno dei padiglioni per l’accoglienza turistica, è quella di una vasca rettangolare dell’epoca augustea. Ma il sito è solo una parte dell’antica prefettura (città) romana, la cui estensione è ancora tutta da scoprire e costituita da ville, acquedotti, strade, monumenti funerari e tanto altro. Anche Teatro e Anfiteatro hanno subìto le conseguenze del sisma. La Direzione regionale per i Beni culturali è intervenuta grazie a due finanziamenti: uno a valere sui fondi dell’«8 per mille», e l’altro dai fondi provenienti dalla compartecipata Arcus, del ministero per i Beni culturali: un milione ciascuno che erano stati richiesti prima del sisma per la realizzazione del parco archeologico ed erogati a partire dal 2012. Il terremoto, in sostanza, ha accelerato le attività per il progetto, «perché ci siamo resi conto di quanto stavamo per perdere senza riuscire a mettere in atto azioni per rafforzare», spiega il direttore dei lavori Dino Di Vincenzo, della Direzione regionale per i Beni culturali.

DANNI E INTERVENTI. A essere danneggiate sono state soprattutto le strutture più elevate. Per quanto riguarda il Teatro, per esempio, con i rilievi eseguiti subito dopo il sisma sono emersi danni nella parte superiore del grande arco d’ingresso alla platea, dal quale accedevano gli spettatori e i mezzi scenografici, che aveva delle lesioni poi consolidate con materiali tradizionali e compatibili con le malte preesistenti. Ma è l’Anfiteatro ad avere registrato maggiori danni, essendo la parte del sito con maggiori strutture elevate. Qui sono stati necessari interventi di recupero, ora completamente terminati «in relazione agli importi a disposizione, non certamente sul fronte delle necessità», aggiunge Di Vincenzo. «Le strutture in elevato hanno subìto un’onda d’urto in trasversale», prosegue, «che hanno determinato lesioni oblique non molto profonde, perché sopra non c’erano grandi pesi, però si trattava di lesioni che, se non fossimo intervenuti a consolidare, avrebbero determinato conseguenze sulle strutture». Gli interventi di recupero, che si notano soltanto dai colori più accesi, hanno permesso anche di «correggere» interventi degli anni ’70 che furono dannosi e inutili. Sulla sommità dei pilastri archeologici, risistemati con mattoni laterizi anni ’70 fatti con malte non compatibili e non capaci di resistere al tempo, infatti, vennero poste delle pesanti «calotte» di cemento. Mentre i mattoni di duemila anni fa hanno resistito, paradossalmente, molto di più. A supporto della Direzione regionale Beni culturali, nelle indagini fisico-chimiche, sono intervenute alcune università italiane, mentre quelle di Berna e di Colonia hanno eseguito delle prospezioni geofisiche dall’alto che hanno permesso di conoscere meglio l’estensione e le caratteristiche della splendida città romana.

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