Camarda, nel borgo tornano le voci

Qualcuno è rientrato a casa ma l’orologio segna ancora l’ora del sisma. Sulla collina di fronte al borgo è stato costruito il villaggio provvisorio

CAMARDA. Sono le due del pomeriggio, il silenzio che avvolge la parte alta del borgo di Camarda, è rotto dal suono della campana dell’orologio. Dovrebbe fare due tocchi, invece sono molti di più. «Dal sei aprile del 2009 suona un po’ come gli pare» mi dice Antonio Scipioni.

Antonio Scipioni è il presidente della circoscrizione di Camarda. Quando, dal Castello ormai diruto, scendiamo, per un sentiero ripido e anche un po’ pericoloso, verso la piazza principale del paese mi fa notare che l’orologio posto su una torre costruita nel 1872 è fermo alle 3,40, che non è l’ora esatta del terremoto del sei aprile ma solo perché le lancette andavano un po’ avanti. A Camarda la scossa ha colpito in modo difforme. Una zona è semidistrutta e in gran parte inagibile. Un’altra invece ha retto meglio e molte case sono agibili compresa quella dove abita Scipioni. Nel cuore del vecchio borgo, quello che gravita intorno alla chiesa parrocchiale non c’è più nessuno. O meglio quasi nessuno. Felice Spagnoli non ha voluto lasciare Camarda nemmeno per un minuto. Quando le scosse facevano ancora paura si è accontentato di un container, poi è rientrato a casa. Gli fanno compagnia «due cani e il silenzio». Non vuole altro.

L’unica cosa a cui non potrebbe mai rinunciare è la fontana di piazza Duomo da cui sgorga acqua in maniera continua e abbondante. A pochi metri c’è anche la fontana del Treo. Il Treo per gli abitanti di Camarda è un luogo simbolo. E’ l’incrocio di tre strade. Qualche anno fa a fianco alla fontana era stato costruito un piccolo ponte in cemento che facilitava il transito a piedi da una zona all’altra del paese, una sorta di scorciatoia. Pochi giorni fa quel ponte è stato segato per permettere il passaggio di camion e grosse gru che servono agli operai impegnati nella messa in sicurezza di alcuni edifici pericolanti. Ha rischiato di essere abbattuto anche un bell’arco di pietra che fa da ingresso al centro storico di Camarda. Poi è stata scelta una soluzione più ragionevole. Per far transitare i mezzi pesanti è stata scavata la sede stradale che ora è molto più bassa di prima. La pioggia dei giorni scorsi ha riempito quella buca di acqua e quando Scipioni l’attraversa con la macchina ho un sobbalzo. Sembra quasi di entrare in un piccolo lago spuntato all’improvviso fra le case. Ma il paese, come già accennato, non è abbandonato. Anzi. Molti sono quelli che hanno deciso di rientrare nelle case agibili. Il presidente della circoscrizione ha un cruccio proprio su questo. «Sono mesi» dice «che sto sollecitando qualcuno del Comune dell’Aquila a venire a vedere di persona qual è la nostra situazione. Ci sono alcune abitazioni, classificate F, che potrebbero essere abitate di nuovo senza problemi se si provvedesse a mettere in sicurezza alcune vecchie case vicine. Invece per giorni si è lavorato a ingabbiare la torre del Castello che il sei aprile è praticamente implosa su se stessa, ma nessuno pensa a fare qualcosa per far rientrare le persone nella loro casa». In effetti intorno al Castello si è lavorato molto. Un anno fa era quasi impossibile arrivarci. Le macerie delle vecchie case crollate erano dappertutto. Oggi invece lo si raggiunge senza problemi. Una gabbia fatta di tubi Innocenti sorregge la parte che dà verso l’abitato. Dall’altra parte sono stati montati dei sostegni. Sotto la torre si aprono grosse cavità, che sono la caratteristica della parte alta di Camarda, e forse hanno contribuito ad aumentare la forza d’urto della scossa del sei aprile.

Dopo il terremoto Camarda si è ritrovata senza più la chiesa, l’ufficio postale, la sede della delegazione comunale, un museo naturalistico realizzato a suo tempo dal Parco Gran Sasso e Monti della Laga.

La sede della delegazione oggi è all’ingresso del paese, è ancora dentro un container e non si possono fare i certificati anagrafici perché in 13 mesi non si è riusciti a mettere a punto un collegamento telematico.

Fra pochi giorni dovrebbe riaprire, sempre nella parte bassa del paese l’ufficio postale. Per le cerimonie religiose ora viene utilizzata la chiesa di Santa Maria di Valleverde che è stata prima messa in sicurezza e poi riaperta grazie anche all’impegno dell’associazione onlus «Insieme per Camarda». I lavori, cominciati nel novembre 2009 sono stati ultimati il 23 dicembre, due giorni prima di Natale. Anche, qui, in questo borgo alle falde del Gran Sasso, l’impegno di volontari e di tante persone che amano il proprio paese e lo vogliono rivedere presto come era prima, ha contribuito ad evitare il rischio di abbandono definitivo dei luoghi abitati da secoli. E per Camarda questo rischio pare scongiurato. Lungo le stradine della parte meno danneggiata si sentono i rumori provocati da gente al lavoro e le voci dei bambini che giocano o che vanno in bicicletta. «Vedi, ci sono i bambini» mi dice il presidente della circoscrizione «è un doppio bel segno: che la comunità si sta ricomponendo e che possiamo avere fiducia nel futuro».

Sul colle di fronte alla vecchia Camarda c’è il piano Case: 5 palazzoni e una trentina di map immersi nel verde del Gran Sasso con Pizzo Cefalone che, ancora mezzo imbiancato, guarda tutti dall’alto. Saliamo lungo una comoda strada che fino a sei mesi fa non c’era e arriviamo a fianco agli alloggi. Da una finestra sento una donna che grida: «Ma lei è Parisse, il giornalista del Centro». «Sì sono io» le rispondo». E lei continua: «Mi chiamo Fedora Pelliccione, ho 90 anni e mi hanno deportato qui a Camarda dopo mesi passati in un albergo. Ma qui non c’è nulla, è come essere in mezzo a un deserto». La figlia Paola che abita con lei mi spiega che la loro casa era in un consorzio edilizio in via Francia a Pettino. Non sanno nulla dei tempi e delle modalità della ricostruzione della loro casa e si sentono “condannate” a vivere in quell’angolo immerso nel verde ma che è la negazione di una vita sociale e comunitaria.

Riscendiamo verso la statale 17 e vado a trovare Antonello, titolare dell’albergo ristorante Elodia. Lo avevo incontrato due mesi dopo il terremoto. Si era già rimesso in moto nonostante la sua attività fosse molto compromessa. A ottobre ha riaperto l’albergo e il ristorante e ha avviato una trattoria per pranzi veloci e a prezzi contenuti. Oggi nell’albergo ospita anche alcuni aquilani senza casa. Saluto il padre e la madre di Antonello. Sono anziani ma anche loro non hanno smesso di lottare per un futuro migliore.

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