Casa squillo: «Lo facevo per campare»

Le ammissioni degli indagati nel corso degli interrogatori. Cerasoli: «Io coinvolto perché in stato di bisogno»

L’AQUILA. Davanti al gip ammettono le loro responsabilità e per i due uomini accusati di avere trasformato un bed & breakfast in una casa d’appuntamento all’Aquila si spalancano le porte per un patteggiamento e la libertà.

Agostino Di Carlo, 68 anni di Vigliano di Scoppito, e Giuseppe Cerasoli (69) residente all’Aquila ma originario di Ginosa (Taranto) sono comparsi ieri mattina davanti al giudice per le indagini preliminari Giuseppe Romano Gargarella e non hanno avuto esitazioni nell’ammettere le loro responsabilità, in maniera più o meno sfumata, al punto da indurre il pm a dare il nulla osta per il patteggiamento che dovrà essere ratificato dallo stesso giudice. I due indagati sono stati assistiti dagli avvocati Ferdinando Paone e Francesco Valentini. Cerasoli, secondo quanto trapelato, ha ammesso di aver dato un limitato contributo all’attività della prostituzione in quanto momentaneamente costretto da uno stato di bisogno e difficoltà economiche e lo stesso Di Carlo non ha negato il suo ruolo nell’attività contestata dal pm. Entrambi sono ancora ai domiciliari in attesa della pronuncia del giudice. Un atteggiamento non collaborativo, viste le montagne di prove a loro carico tra intercettazioni e pedinamenti, non avrebbe giovato ai loro interessi processuali. Secondo le accuse formulate dal sostituto procuratore Stefano Gallo, Di Carlo, nella sua qualità di gestore di un’attività di affittacamere, e Cerasoli come procacciatore delle ragazze e dei transessuali che venivano accompagnati nella struttura, «abitualmente e professionalmente mettevano a loro disposizione gli alloggi della struttura dove veniva esercitata la prostituzione dietro la corresponsione di almeno 50 euro per giorno/pernottamento». Nella vicenda è coinvolta anche una donna della Repubblica Dominicana, che operava principalmente nella Marsica, la cui posizione è stata stralciata L’indagine, durata circa 8 mesi, è partita nell’ottobre del 2015 quando il viavai nel locale fu posto sotto i riflettori da parte degli uomini della squadra Mobile dell’Aquila, ora guidati dal dirigente Gennaro Capasso. Secondo quanto sostiene l’accusa, «le stanze dell’affittacamere venivano riservate esclusivamente a donne e transessuali per esercitarvi la prostituzione». L’attività veniva diffusa con specifici annunci pubblicati su siti Internet specializzati con le foto delle persone e i recapiti telefonici, che cambiavano periodicamente. Inizialmente il gestore della struttura si avvaleva di un altro collaboratore, poi sostituito. A svelare cosa avvenisse nelle stanze del locale è stato un cliente “intervistato” all’uscita. Da lì è partita l’attività investigativa con riscontri, tra cui le telefonate nelle quali i due arrestati affrontavano discorsi economici.

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