Castelnuovo, il borgo che non si arrende

Sono stati realizzati due villaggi provvisori. Nel centro storico si vedono solo macerie. Stanziati 150.000 euro per selezionare e conservare le pietre dell’edificio sacro. Nell’oratorio della “congregazione” il coro ligneo è senza protezione

CASTELNUOVO. In alcune guide turistiche della provincia dell’Aquila - almeno in quelle più dettagliate - a un certo punto, là dove si parla di Castelnuovo (frazione di San Pio delle Camere) si accenna a uno «splendido coro ligneo con 18 posti, nell’oratorio della congregazione». Quel coro ligneo, è ancora lì, fra le macerie della chiesa parrocchiale dedicata a Santo Stefano e San Silvestro. Una chiesa cancellata, come tutto l’antico borgo di Castelnuovo.

A vedere quel coro ligneo abbandonato mi sono chiesto come mai si spendono decine di milioni di euro per puntellare case che forse dovranno essere abbattute e non si è trovato il modo per proteggere e mettere al sicuro quella che è un’opera d’arte alla stregua delle statue lignee e delle tele recuperate o «salvate» subito dopo la devastazione provocata dal sisma. Tra l’altro proprio per Castelnuovo è stato finanziato con circa 150.000 euro un progetto per selezionare e conservare le pietre dell’edificio sacro. Cosa che la ditta incaricata sta già facendo. Ma prima di recuperare le pietre, che come è noto almeno nel breve periodo non temono acqua e neve (tanto che dopo la selezione sono state accatastate all’aperto e lì resteranno per mesi se non anni), non si poteva fare qualcosa per quel coro ligneo? Magari anche a costo di abbattere un paio di muri pericolanti? E’ uno dei tanti - piccoli - misteri di una ricostruzione che stenta a partire. Ieri, sotto una leggera pioggerellina e con un vento freddo che “accarezzava” i cumuli di macerie, sono tornato a Castelnuovo. La mattina del sei aprile del 2009, quando l’alba mise a nudo il dramma, si contarono 5 vittime. La parte alta del borgo fu semplicemente cancellata dalla storia e dalla geografia. La chiesa parrocchiale era stata restaurata con anni di lavori finanziati (per circa un miliardo delle vecchie lire) dagli abitanti e dalle “rimesse” degli emigranti. Dopo quei venti secondi non c’era più nulla. Anche la statua del Santo protettore, San Giovanni Battista, è stata trovata a pezzi. Oggi in quella che è una cappella provvisoria (in attesa di una nuova chiesa) ricavata all’interno del centro polifunzionale donato dal Comune di Segrate c’è una nuova statua di San Giovanni Battista che è stata comprata con i soldi che, ancora una volta, le tante persone originarie di Castelnuovo sparse in tutto il mondo e soprattutto negli Stati Uniti, hanno raccolto e mandato nel borgo dove ci sono le loro radici. Ieri, dopo la celebrazione della messa domenicale, il parroco, don Climaco (originario della Colombia) ha invitato il comitato feste che si è costituito da qualche giorno, a darsi da fare per organizzare i festeggiamenti in onore di San Giovanni previsti il 24 giugno. Nelle comunità più devastate - sia dal punto di vista umano che materiale - le tradizioni (e non solo quelle religiose) sono state e sono il collante per non disperdere una identità costruita in secoli e secoli di vicende belle e brutte.

E poi c’è la memoria. Le strade della parte alta di Castelnuovo, sono tutte o quasi dedicate alla vittoria italiana nella prima guerra mondiale: ci sono via Piave, via Diaz, via Trento, via Trieste. Via Piave è un vicolo stretto e insuperabile: è infatti bloccato da sassi e materiali vari frutto del crollo delle case vicine. Nello spazio aperto di quella che fu la chiesa ci sono ancora le tracce di un passato che affonda nella notte buia del terremoto. Sotto un pezzo di legno due agende inzuppate d’acqua. Sono quelle che il parroco utilizzava per “segnare” le messe da celebrare in memoria dei defunti. L’agenda del 2009 si ferma al 5 aprile, sul foglio bianco il nome di una donna: Francesca. Dal sei aprile in poi più nulla. Poco più in là, sopra quello che fu il fonte battesimale, i resti di un presepe che era stato lasciato esposto nell’angolo in fondo all’edificio.

E poi candelieri in pezzi, le gambe rotte di un bambin Gesù in legno, le “barelle” per portare le statue in processione. Poco fuori - laddove c’era una “terrazza” da cui si poteva ammirare lo splendido paesaggio sottostante - in mezzo a cumuli di detriti c’è il gonfalone della parrocchia, abbandonato e ormai inservibile. Intorno alla piazza, le case rimaste in piedi danno - più che un anno fa - un senso di precarietà e di impotenza. La domanda a cui nessuno può rispondere - e forse è per questo che nessuno la pone - è sempre quella: come e quando sarà possibile ricostruire tutto questo?

Castelnuovo nell’ultimo anno si è moltiplicato per tre. Ci sono cioè tre paesi: quello originario ma chiuso e inabitabile, e due villaggi provvisori fatti di casette di legno (per circa 200 persone). La popolazione ha chiesto di farne due, uno a est e uno a ovest per avere sempre sott’occhio le case crollate o danneggiate: per ricordarsi che prima o poi bisogna far rinascere l’antico borgo. Una delle questioni più dibattute negli ultimi mesi è stata quella relativa alla possibilità di ricostruire o meno Castelnuovo dov’era. Una parte del paese sorge su delle grandi cavità che potrebbero creare problemi anche in futuro alla stabilità degli edifici. Ma il presidente dell’associazione Onlus, Umberto Alessandrini confortato dal parere degli esperti dice: «Il paese tornerà dove era prima, su questo non c’è dubbio».

Quella notte, a Castelnuovo, è crollato anche il campanile, che svettava su tutta la piana di Navelli. Era il rifugio di decine di uccelli. Fra i sassi ce n’è ancora uno che non ce l’ha fatta a fuggire: ora è un mucchietto di piume e ossa.

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