Ciaccia: il teatro vive solo se sperimenta il nuovo

3 Maggio 2013

Il direttore artistico del Teatro dei colori: contiamo sulla passione dei ragazzi le persone che recitano diventano più sicure, libere e gioiose

AVEZZANO. Un teatro di sperimentazione e innovazione, ma sempre in contatto con i modelli della tradizione, anche abruzzese. Parola di Gabriele Ciaccia, direttore artistico, attore e regista dell’Associazione Teatro dei colori. Ne è venuto fuori un dialogo a tutto campo.

Il Teatro dei colori vanta un'esperienza decennale sul territorio. Come si è evoluto nel tempo il modo di fare teatro e di attirare l'attenzione soprattutto dei giovani?

«C'è un'avventura umana che si evolve nella sensibilità degli artisti. È anche un'evoluzione della cultura: cambia la società e la compagnia deve anche cambiare abito organizzativo. Si devono mantenere il sogno e la ricerca. Sono mutate le modalità del promuoversi e del produrre. Devi essere vivo e cambiare, altrimenti non evolvi».

In un momento di crisi come quello attuale è sempre più difficile frequentare il teatro. Vi ritenete soddisfatti dell’affluenza di pubblico agli spettacoli presentati quest’anno? In che misura partecipano i giovani?

«Noi siamo proprio una compagnia di sperimentazione e di teatro per i giovani. Per quanto riguarda quello che facciamo in Italia, sono molto contento e ciò lo devo anche alla scuola, perché aiuta a conoscere gli artisti. Al di là dell'ambiente scolastico lo studente diventa un appassionato. Bisogna anche fare un percorso: rimodulare annualmente le programmazioni, perché lo spettatore è un passante e bisogna fare in modo di attrarlo sempre».

Siete protagonisti di vari stage e laboratori teatrali nelle scuole. Avete rilevato un aumento di ragazzi appassionati e pronti a entrare nel mondo del teatro?

«Abbiamo riscontrato sempre tanto entusiasmo. Ho scelto di affiancare il Teatro dei colori a un centro di pedagogia. Le unità artistiche diventano, così, unità artistico-didattiche. Ci sono molti artisti che sono nati con noi e questa è la cosa più bella».

A chi vi ispirate nella costruzione delle trame?

«Noi lavoriamo su un concetto di scrittura scenica: un percorso di drammaturgia che prevede non solo un copione, ma anche un progetto che tenga conto di tutti i linguaggi e i livelli di espressione. Il nostro modello è il "Teatro del colore" di Achille Ricciardi, che negli anni Venti a Roma sperimentò in tal senso. Quello che facciamo noi con i giovani è un discorso di innovazione della scena tramite la ricerca di linguaggi sempre diversi».

Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi del vostro lavoro?

«Quelli positivi che puoi sognare tutti i giorni: entrare in scena e, dopo aver faticato tanto, trovarsi davanti a un pubblico caloroso, diversificato e pieno di aspettative. Negativo è che abbiamo bisogno di uno status socio-politico che rinnovi la cultura. Noi ci siamo e lo facciamo con passione».

Il rapporto tra i ragazzi e il teatro è anche un modo per superare le paure e acquisire maggiore sicurezza. Che riscontri avete avuto?

«Straordinari. Il teatro non è solo ciò che appare sulla scena: dietro le quinte sono palpabili la partecipazione intima e il cambiamento. Le persone che recitano diventano più sicure, libere e gioiose. Con il teatro accade qualcosa che va oltre la scuola. Il palcoscenico cambia le persone. Bastano due minuti davanti al pubblico e ci si sblocca. Stai lì, respiri, canti, improvvisi: è un discorso di vita e non virtuale. La presenza fisica sulla scena crea empatia con il pubblico».

Dora Cichetti, Valentina Di Marco, Giulia Fantauzzi

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