Colapietra: «Città in mano ai costruttori»

Lo storico: frazioni abbandonate, centro vuoto Lolli sarà sindaco per mancanza di avversari

L’AQUILA. Bertolaso e Berlusconi, Cialente e Lolli, Pietrucci e Di Benedetto. Eppoi la città nelle mani dei costruttori, le frazioni abbandonate, i «cervelloni» del Gssi, la massoneria. Riflessioni a tutto campo dello storico Raffaele Colapietra (85 anni il 25 novembre), che “legge” la città con uno sguardo disincantato. E, come sempre, fuori dal coro.

Bertolaso assolto. Perché?

«Ho avuto la sensazione che fosse sbagliato, esagerato il capo d’accusa, cioè l’aver provocato la morte di 309 persone. Mentre la diffusione di notizie false e tendenziose, accusa molto più debole, probabilmente è fondata perché la famosa telefonata c’è: cioè di voler preparare la pubblica opinione in un certo modo, tendenzioso. Cosa possa essere venuto da questa diffusione tendenziosa è un punto interrogativo. Non si può affermare che ne sia venuta la strage. Mi meraviglia, perché l’avvocato Cecchini è un uomo espertissimo. La sentenza stessa dice: Bertolaso non ha commesso quello, ha commesso altra cosa. Con questa sentenza si chiude il cerchio di Bertolaso con L’Aquila. È stato un capro espiatorio di una cosa che risale a Berlusconi, un esecutore fidato per ottenere il risultato evidente di far uscire la vita dalla morte. Questo il senso del G8 di cui non parla nessuno. Che rapporto ci può stare tra un terremoto e una riunione mondiale organizzata in tre mesi? Perché farlo qua? Solo una dimostrazione di onnipotenza che si ottiene malgrado lo spettacolo di morte e distruzione che ci sta intorno. Bertolaso ha fatto quel che gli è stato ordinato. Ma l’abbandono della città lo dispose Berlusconi, che incontrava le persone e diceva: “che ci fai ancora qui?”. Me lo disse Antonio Galeota, a lungo sindaco di Poggio Picenze, il quale si trovò a tu per tu con l’allora premier che qui fece 22 visite operative, con lo spumante nei frigoriferi delle case e la letterina del bambino: “Chi è Berlusconi, perché non lo invitiamo a Natale?” Adesso il bambino sarà diventato grande e che pensa? Chissà. Lo potrebbe invitare per gli 80 anni...».

Bertolaso spera di riconquistare la stima degli aquilani?

«Dal punto di vista penale tutto è finito, ma questo se lo può togliere dalla mente: è bene che non venga all’Aquila e se io fossi nei suoi panni qui non ci tornerei. Berlusconi, viceversa, può tornare. Ha ottenuto il risultato, è poi scomparso e nessuno ne ha più parlato. Bertolaso non ha fatto cose straordinarie: ripeto che in 24 ore se ne sono andate 35mila persone, ma qui c’è entrata la presenza personale di Berlusconi. Argomento chiuso. Ora tutto questo appartiene alla storia».

Intanto è partita la campagna elettorale per le amministrative...

«L’abbandono delle frazioni è tra i grandi problemi e si capì fin dall’inizio, il che pone il problema del mantenimento delle stesse oppure di un ritorno ai Comuni autonomi. Non vedo perché L’Aquila debba mantenere questa egemonia che o non è in grado o non vuole esercitare. A fronte di questo vi è l’insistenza sul centro storico puro e semplice che rimane deserto, una specie di vetrina coi palazzi ripuliti, lustri e pinti e deserti e comunque insignificanti. Non c’è la vita sociale, continua a non esserci. C’è la movida, sì, ma perché c’è la disoccupazione. È la controprova di un disagio che si sfoga, è il sottofondo di niente e c’è sempre la domanda: ma dove vanno a dormire? Si radunano a piazza Chiarino e via Garibaldi, ma dormono chissà dove perché la città non c’è».

E le grandi opere?

«Si parla di varianti, ferrovia, ponte della Mausonia, mentre la cosa civile di smantellare la ferrovia di Iannini – che ha portato danni anche recentissimi, un pericolo lungo chilometri – sarebbe dovuta essere un’azione immediata per l’incolumità pubblica e non è stato fatto. Viceversa si pensa a cose colossali da San Demetrio a Scoppito, ma poi come ci si arriva da Assergi e da Lucoli, dove ci sono i nuovi insediamenti, nessuno lo dice. Nessuno dice come una grande arteria, su cui deve confluire un territorio enorme ma spopolato, possa collegare gente spersa in chilometri e chilometri di distanza».

Chi sarà sindaco dopo Cialente?

«Non mi aspetto nessun cambiamento. Se debbo fare una previsione la faccio senza dichiarare il motivo: la persona più adatta, astenendomi dalla motivazione, è Giovanni Lolli, che mi sembra proprio il più adatto, senza dire perché. I giovani? Fanno la loro parte. Il Pd? Definirlo, non solo qui ma ovunque, è impossibile. Un insieme di individui, per essere il più benevolo possibile. I giovani Pd sono attivi e ambiziosi. Il loro partito vincerà per mancanza di avversari. L’Aquila, città tradizionalmente di destra – lo è sempre stata – ha trovato proprio nel Pd la rappresentanza. Quella che oggi si presenta come destra è scombinata perché non c’è più Berlusconi, che non ha più i suoi luogotenenti né i rappresentanti locali. Salvini e la Lega sono forme di estremismo verbale che lasciano il tempo che trovano».

Quanto conteranno, sul voto, le famiglie? E la massoneria?

«Una recente riunione di massoneria c’è stata a Villa Dragonetti. Qua la battuta la posso fare: la massoneria è stata rivoluzionaria nel Settecento, conformista nell’800, reazionaria nel ’900, ed è morta nel Duemila. I massoni oggi? Morti che camminano, non esistono. Possono esistere, all’ombra rispettabile o comunque innocua della massoneria, delle trame e dei rapporti. Questo gruppo di potere lo possiamo chiamare massonico perché riservato, c’è una parte occulta. Però, secondo me, in questo modo si fa torto e si fa offesa alla massoneria che tutto sommato è solo un’ideologia che oggi non è più attuale. Si può dire che ha svolto un suo compito, che si è andato rapidamente esaurendo. Le grandi famiglie all’Aquila esistono e sono legate a interessi locali».

Quale notizia cittadina l’ha colpita negli ultimi tempi?

«Una dichiarazione del prefetto Alecci, che sta lasciando la città, in occasione di una rispettabilissima e inattesa manifestazione al Gran Sasso per le due vittime ricordate dal presidente del Centro turistico dopo una ricerca storica, una cosa buona. L’aspetto singolare è il commento che ha fatto il prefetto sulla liberazione di Mussolini “io la chiamerei piuttosto fuga”. Si libera un innocente: quella è una fuga coi suoi complici nazisti, costata la vita a due onesti servitori dello Stato che hanno fatto quello a cui forse si sarebbero potuti sottrarre e hanno perso la vita. Mussolini è fuggito, evaso. Che lo dica un prefetto nel settantesimo della Repubblica è cosa rara. Fa piacere sentirlo».

E le quotidiane inchieste sulle ruberie del terremoto?

«Il terremoto avviene una volta tanto: quale migliore occasione per poter sfruttare la circostanza? Quando sento parlare di infiltrazioni resto sbalordito: si deve supporre che già sia in azione una cupola. Non solo due persone hanno riso quella notte, almeno duecento hanno riso e duemila stanno ridendo tuttora. È un’occasione rara in cui possono avvenire tutti gli affari possibili e immaginabili: è dato per scontato che questo avvenga. Si deve supporre che ci sia il malaffare in partenza e poi chi ne è responsabile se ne debba scagionare. L’approfittamento è quasi inesauribile. Poi, al rovescio, c’è un aspetto umoristico. I residenti del civico 207 vanno davanti al Tar per Porta Barete: gente che ha il sacrosanto diritto di tornare ad abitare lì, ma per la follia del sito archeologico – perché lì non si trova niente, e non c’è niente – questi disgraziati debbono stare in giudizio per rientrare a casa propria: qualcosa di inconcepibile».

A sette anni dal sisma l’Università ha recuperato il suo ruolo-guida?

«L’università, nelle piccole facoltà scientifiche, come matematica, è stata sempre di prim’ordine. Ma si tratta di poca gente che non influisce socialmente. Per il resto, ci sono le solite presenze di studenti che subiranno di nuovo il lunghissimo sfruttamento che è una pessima pagina dell’Aquila preterremoto. All’epoca se ne parlò, ma non se ne fece niente».

E il Gran Sasso Science institute?

«Una cosa grandiosa, e auguro a Coccia di vincere il Nobel. Però bisognerà vedere su Aquila che influsso ha. Sono cose che, di per sé, non portano a nessuna conseguenza: i cervelloni sono i cervelloni, non sono gli aquilani. Porta fama, sì, ma non più che tanto».

La città, dunque, è in mano a...

«Ai costruttori. E lo sarà ancora a lungo. Loro sono i protagonisti. Si può fare anche qualche nome. Altro protagonista, ad esempio, è Antonello Salvatori, messo a operare ad Amatrice. Ci sono persone insostituibili che hanno un ruolo protagonistico, è un dato di fatto. Come i grandi costruttori che lo saranno ancora a lungo».

Qual è il ruolo dell’Aquila nella regione?

«Non so che c’entra Ortona con Civitavecchia anziché Ancona, questo voler unire due cose diverse...meno male che è stato accantonato il progetto dell’autostrada, che avrebbe portato stravolgimenti e investimenti colossali per mezz’ora di meno tra Pescara e Roma. Pescara arriva in aereo a Milano e non ha bisogno di Roma, e viceversa. Diversamente, L’Aquila e la Marsica sono la periferia di Roma. D’Alfonso sull’Abruzzo va a tentoni. La legge sulla città capoluogo è superflua: non serve. Sta nella realtà che Firenze sia capoluogo della Toscana e non lo dubita nessuno. Ma del ruolo dell’Aquila capoluogo come ne risentono Vasto e Giulianova? La legge è simile a una cattedrale nel deserto».

Come si sta ricostruendo la città?

«Nei modi tradizionali, non è cambiato nulla. L’impronta resta sempre quella istituzionale, tecnocratica, burocratica. La città è quella di prima, non c’è un piano per mettere qualcosa di moderno o di specifico, l’industria è quella che è... un piano per Aquila potrebbe esserci solo a livello nazionale, ma la nazione non credo ne abbia interesse. Impostare tutto sull’asse centrale è una scelta, ma non c’è novità».

E Cialente?

«Ha vissuto situazioni del tutto eccezionali in cui bisognerebbe trovarsi per dare giudizi. Ma avrebbe potuto salvarsi l’anima con qualche rifiuto, qualche no in più. Forse questo avrebbe potuto giovare alla sua figura, al ricordo di lui. La sua è stata una molto ordinaria amministrazione. Nel periodo Bertolaso-Gabrielli-Berlusconi, una presenza almeno morale sarebbe stata opportuna: hanno fatto quello che hanno voluto. All’epoca c’erano i giovani di Casematte che suonavano la chitarra, unica forma di dissenso: io li sentivo nel silenzio di via Strinella. Ed è un po’ poco».

Al suo posto a Palazzo Fibbioni a primavera ci sarà...

«Data la mancanza di avversari Giovanni Lolli. Poi vengono i giovani Pietrucci e Di Benedetto, che saranno i nuovi padroni. Palumbo e Albano invece devono aspettare. Vedo Pietrucci deputato nel 2018 e Di Benedetto in Regione e poi sindaco dell’Aquila dopo Lolli, dovendo fare fantascienza...».

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