Confindustria: in settemila senza lavoro, servono aiuti

8 Ottobre 2011

Grido d'allarme del direttore dell'Unione industriali Antonio Cappelli (foto): il territorio è in piena crisi, servono aiuti subito. I dati: duemila i lavoratori in cassa integrazioni, altri 1.300 in mobilità

L'AQUILA. «Il quadro economico, in provincia dell'Aquila, è estremamente preoccupante». Poche parole, sintetiche e immediate, che non lasciano spazio a dubbi. Per il direttore dell'Unione industriali, Antonio Cappelli, «il territorio è in piena crisi. E senza aiuti concreti e immediati non ci sarà futuro». Troppi i lavoratori ancora in cassa integrazione: una zavorra che pesa sul mercato come un macigno. Di nuove imprese, senza sgravi fiscali e incentivi, neppure a parlarne. Cappelli parte dai dati per un'analisi puntuale della situazione.

«La disoccupazione, in Abruzzo, secondo le rilevazioni Istat del II semestre 2011, ha toccato la soglia del 7,8%, contro il 7,9% della media nazionale», spiega, «una tendenza al miglioramento che non riguarda, tuttavia, la provincia dell'Aquila, dove alla crisi globale si è sommata quella scaturita dal terremoto». A luglio erano oltre 352mila le ore di Cassa, per un equivalente di 2mila lavoratori. «Una cifra», commenta il direttore di Confindustria, «nettamente inferiore alle 8mila unità in cassa integrazione in deroga, registrate subito dopo il sisma, ma sempre molto elevata». Ai 2mila lavoratori in cassa integrazione, infatti, se ne aggiungono altri 1300 in mobilità e 4mila che percepiscono l'indennità di disoccupazione. A conti fatti, oltre 7mila unità sono fuori dal mercato del lavoro, in modo stabile o provvisorio. I settori di riferimento sono industria, commercio, artigianato e servizi; escluso il comparto agricolo.

«Siamo di fronte a una situazione estremamente difficile», sottolinea Cappelli, «in questo contesto, potrebbero fare la differenza l'applicazione della Zona franca e i fondi Fas per la Valle Peligna. Se questi interventi dovessero avere immediata applicazione, con un utilizzo mirato e finalizzato all'incremento dell'occupazione e alla crescita del tessuto industriale locale, potremmo avere una netta inversione di rotta. In caso contrario, il declino sarà inevitabile. Rilevo con soddisfazione che si comincia a parlare di una Zona franca tagliata per ciò che è accaduto all'Aquila. Le indicazioni emerse dall'ultima riunione a Bruxelles evidenziano una presa di coscienza della necessità non di una Zona franca urbana, quella per intenderci che viene concessa ai territori degradati e in forte difficoltà sociale. L'Aquila è stata investita da un disastro naturale senza precedenti: ciò comporta la necessità di misurare gli aiuti in base alle esigenze economiche e occupazionali».

Confindustria punta sulle caratteristiche del comprensorio aquilano «un territorio ancora appetibile, nonostante il sisma. Il perché», incalza Cappelli, «va ricercato nell'assenza di criminalità organizzata e nel buon collegamento con Roma. Non siamo di fronte a un territorio degradato socialmente, bensì colpito da una calamità naturale». Il settore industriale rispecchia l'andamento dell'economia della provincia. Con un'aggravante: l'industria risente di una crisi che nasce da lontano. E che non è indenne dall'andamento altalenante dei mercati. «L'industria aquilana, per risalire la china, necessita di incentivi mirati a portare sul territorio nuovi investimenti e rafforzare le realtà esistenti», dice Cappelli. «Anche il settore farmaceutico rischia di risentire della crisi. Occorrono nuove agevolazioni e infrastrutture. Il nucleo di Sassa è ancora senza servizi». Sull'economia aquilana pesa un'altra incognita: il destino dell'ex polo elettronico. Il capannone è stato acquistato da Comune e Provincia con una parte dei fondi della legge mancia, 4 milioni di euro. Ne restano altrettanti da spendere per la ristrutturazione e l'insediamento delle imprese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA