Convoglio attaccato, uccisi quattro alpini

Erano su un Lince saltato su una mina. Talebani respinti dopo un lungo conflitto a fuoco

ROMA. Un attacco studiato nei particolari e portato da un alto numero di talebani con armi automatiche e ordigni nascosti sul percorso del convoglio italiano nella provincia di Farah. Così sono morti ieri quattro soldati italiani in Afghanistan. Avevano tra i 23 e i 32 anni. Sono rimasti feriti altri due militari di cui uno, il caporal maggiore Luca Cornacchia, di Lecce nei Marsi (L'Aquila), è il più grave, ma non in pericolo di vita. Le vittime erano a bordo di un blindato Lince distrutto da un ordigno nascosto sul ciglio della strada nel distretto di Gulistan, 200 chilometri a est di Farah, al confine con l'Helmand, roccaforte talebana.

Tutti in forza al settimo reggimento alpini di stanza a Belluno, inquadrato nella brigata Julia, hanno perso la vita il primo caporal maggiore Gianmarco Manca, di Alghero, 32 anni; il primo caporal maggiore Francesco Vannozzi, di Vicopisano (Pisa), 26 anni; il primo caporal maggiore Sebastiano Ville, di Siracusa, 27 anni; il caporal maggiore Marco Pedone, di Lecce, 23 anni. Oltre a Cornacchia, che ha telefonato alla moglie per rassicurarla sulle sue condizioni malgrado le gravi lesioni alle gambe, ha riportato lievi ferite anche Michele Miccoli di Neviano (Lecce), 28 anni.

Il convoglio era composto da 70 mezzi, di cui molti erano camion civili scortati dai Lince. L'attacco è scattato intorno alle 7,15 (9,15 ora afghana) mentre i mezzi stavano transitando nei pressi di un gruppo di case. Secondo quanto riferito dal ministro della Difesa La Russa il convoglio, che stava rientrando verso ovest dopo aver trasportato materiale per la base operativa avanzata di Gulistan, era già stato attaccato venerdì ma con pochi danni. Ieri invece il piano dei talebani è andato a segno. L'esplosione dell'ordigno - secondo la ricostruzione del ministro - è avvenuto «durante un conflitto a fuoco che è durato parecchio e che ha visto il coinvolgimento di un alto numero di insorti. I nostri militari li hanno respinti facendo fuoco anche sui camion civili rimasti nelle mani degli insorti dopo che gli autisti erano scappati». Secondo La Russa l'attacco «è stato portato da posizioni coperte, ed è possibile che ai bordi della strada ci fossero altri ordigni».

Quella esplosa era probabilmente una bomba a pressione, visto che i Lince sono dotati di strumenti elettronici per impedire l'attivazione di ordigni radiocomandati a distanza con radio o cellulari. Altissimo il potenziale, forse superiore ai cento chili, molto più potente rispetto a quelli normalmente usati dai talebani, che negli ultimi tempi - secondo fonti di intelligence occidentali - possono disporre di nuove mine di fabbricazione iraniana in grado di forare anche spesse corazzature. L'esplosione è stata devastante, il Lince, che probabilmente durante il conflitto a fuoco stava manovrando, è stato sventrato dall'onda d'urto, i quattro alpini uccisi sul colpo.
La procura di Roma ha aperto un'inchiesta e ha affidato gli accertamenti ai carabinieri del Ros. Sulla sicurezza dei Lince è ancora polemica. La senatrice Poli Bortone di "Io Sud" ha sollecitato La Russa a rispondere alle interrogazioni e sui ritardi nell'invio dei Freccia, più lenti ma più resistenti alle cariche esplosive.

Il presidente della Repubblica Napolitano ha espresso «cordoglio e sincera partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime». Il presidente del Consiglio Berlusconi ha detto di essere «vicino alle famiglie come lo sono, ne sono sicuro, tutti gli italiani». Le salme dei quattro militari dovrebbero rientrare domani in Italia.

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