Crollo Convitto nazionale Due condanne in appello

Confermati quattro anni di reclusione inflitti dal tribunale all’ex preside Bearzi Ribaltata l’assoluzione al dirigente della Provincia Mazzotta: 2 anni e 6 mesi

L’AQUILA. Nessuno sconto in Appello per il crollo del Convitto nazionale. Anzi, i giudici di appello non solo hanno confermato la condanna a quattro anni per omicidio colposo plurimo e lesioni a carico dell’ex preside Livio Bearzi, ma è stata cancellata l’assoluzione per l’ex dirigente della Provincia Vincenzo Mazzotta, al quale sono stati inflitti due anni e sei mesi di reclusione. La Corte d’Appello (presidente Luigi Catelli, Flavia Grilli, Aldo Manfredi), ha dunque assecondato le richieste del pg Ettore Picardi il quale aveva invocato la conferma per Bearzi e la condanna a 2 anni e otto mesi per Mazzotta nonostante l’ente abbia risarcito le parti civili. Un processo su una vicenda tristissima: nel crollo della scuola nella notte del terremoto del 6 aprile 2009 persero la vita tre minorenni, un ragazzo di Trasacco, Luigi Cellini, e due ospiti della Repubblica Ceca, Marta Zelena e Ondreiy Nouzovsky. Il preside, stando all’accusa, non avrebbe mai sottoposto la vecchia struttura ai restauri. Inoltre non sarebbe mai stato redatto un piano per la sicurezza. Tra le accuse al preside anche la mancata evacuazione dell’edificio realizzato oltre un secolo fa. Mazzotta, invece, era stato chiamato in causa in quanto funzionario dell’ente incaricato per il settore della scuola. Il pg Picardi, nella sua requisitoria, ha sostenuto che Mazzotta, pur nell’impossibilità di disporre lavori di restauro, non avrebbe segnalato le carenze di quell’edificio ai vertici dell’ente nemmeno nell’imminenza delle forti scosse che precedettero quelle del 6 aprile. L’avvocato di parte civile Antonio Milo, per sostenere le pessime condizioni degradate di quel palazzo, ha richiamato le parole di un ex addetto dell’ente, Evenio Di Francesco. Questi, deponendo in primo grado, paragonò la sede del Convitto a «una persona anziana malata di osteoporosi».

A Bearzi il magistrato e lo stesso avvocato Milo hanno ribadito la tesi che il Convitto comunque andava chiuso ma Bearzi impose ai minorenni, poi deceduti, di non uscire. Per contro fu permessa l’uscita dei componenti di una squadra giovanile dell’Aquila rugby. Ma solo cinque giorni prima, quando ci furono altre scosse, l’istituto venne evacuato con il benestare di Bearzi (ieri contumace). A poco sono valse le arringhe delle difese finalizzate a sostenere che Mazzotta (assistito dal padre, l’avvocato Antonio Mazzotta e dal collega Gianfranco Iadecola) non aveva alcun potere, che la stessa Provincia non era titolare dell’immobile e che le criticità erano ben note ai vertici dell’ente da anni anche per via della relazione di Abruzzo Engineering e dello stesso «rapporto Barberi».

Paolo Enrico Guidobaldi, difensore di Bearzi, ha ribadito che l’imputato, non essendo rettore, ma solo dirigente scolastico, non aveva grandi poteri di manovra e, inoltre, il 17 febbraio del 2009 il ministero dell’Istruzione, proprio in quel complesso poi crollato, aveva deciso di ospitare un’altra scuola. A nulla sono valse le considerazioni per le quali lo stesso Bearzi dichiarò che, in certe valutazioni, venne fuorviato dalle affermazioni della Commissione Grandi Rischi dell’epoca. Bearzi, inoltre, per la difesa, mai avrebbe avuto il potere di creare un piano di sicurezza.

Nel processo hanno partecipato anche gli avvocati di parte civile, Stefano Rossi, Domenico Eligi, Roberto Madama (Cittadinanzattiva), Giovanni Gebbia (Assicurazione Provincia), Massimo Lucci (avvocato dello Stato).

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