Dalla guerra alla pace: le vicende di Braccio e di Attendolo Sforza 

L’Aquila coinvolta nelle turbolenze politiche di inizio 1400 C’erano in ballo importanti fette di potere sul territorio 

L’AQUILA. Le turbolenze politiche che all’inizio del 1400 si acuirono sia nel Regno di Napoli (dove Giovanna II, senza figli, era indecisa su chi nominare come suo erede tra Alfonso D’Aragona e Luigi III D’Angiò) e sia nello Stato Pontificio (devastato dalla presenza di tre Papi – uno scisma che verrà sanato solo nel 1417 dal Concilio di Costanza) diedero ai Capitani di ventura dell’epoca – che disponevano di eserciti ben addestrati ed equipaggiati – la possibilità di guadagnare molto (schierandosi ora dall’una e ora dall’altra parte) e ottenere grandi privilegi fra cui titoli che assegnavano loro potere su importanti fette di territorio. Fra questi capitani ce ne erano due che erano stati amici e alleati ma che le vicende storiche li misero uno contro l’altro: Braccio Fortebraccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza.
I due nella primavera del 1421 si erano ritrovati uno contro l’altro: Braccio su richiesta di Giovanna II si era convinto a prendere le parti di Alfonso d’Aragona, il quale voleva insediarsi a fianco della Regina che, in quel momento, lo aveva scelto come erede. Fortebraccio fu convinto ad andare a Napoli grazie alla promessa di una montagna di soldi (pare 200.000 fiorini che oggi sarebbero più o meno 100.000 milioni di euro), della nomina a Gran Connestabile (praticamente il capo dell’esercito) e a principe di Capua che era l’incarico che più solleticava Braccio perché lo avrebbe fatto entrare nell’orbita della Corte napoletana. Il Capitano di ventura scese dall’Umbria dove era ormai stabilmente Signore di Perugia, passò lungo la costa adriatica e a Napoli sconfisse Muzio Attendolo Sforza che aveva assediato la città per conto di Luigi III D’Angiò.
Gli storici raccontano che “portò di persona” Alfonso D’Aragona dalla Regina. Ottenne tutto quello che gli era stato promesso. Si insediò per un breve periodo a Capua dove probabilmente rimuginò sul suo vero obiettivo, quello cioè – grazie alla sua potenza militare e alla fama di invincibile – di creare un suo regno in Centro Italia a fare da “cuscinetto” fra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli che ne sarebbero usciti ridimensionati e intimoriti.
Prima di continuare va evidenziato un aspetto che diventò importante per gli sviluppi della vicenda.
Il Regno di Napoli era considerato un feudo del Papa, quindi il Pontefice aveva una influenza fortissima sui destini dei sovrani.
E Braccio forse questo aspetto lo sottovalutò.
Il Pontefice allora regnante, Martino V, capì la pericolosità di Braccio sia per sé che per Napoli. Prima lo “usò” per rimettere un po’ d’ordine nel suo Stato uscito a pezzi dallo scisma d’Occidente. A un certo punto pensò di poterlo “controllare”, poi prese atto che Braccio era una mina vagante che andava fermato e quindi si schierò con Luigi III D’Angiò e spinse gli aquilani, e i Camponeschi che in città spadroneggiavano se pur formalmente rispettosi delle istituzioni, a mettersi contro il “nemico”.
La rottura fra Braccio e il Pontefice avvenne proprio quando il Capitano di Ventura decise di lasciare momentaneamente Capua (affidata a suoi luogotenenti) per allargare il suo potenziale “regno” che aveva il fulcro a Perugia. L’obiettivo principale era Città di Castello che era parte dei domìni del Papa. Braccio per arrivare in Umbria dovette per forza passare per lo Stato Pontificio, razziò ovunque per procurarsi il bottino necessario a mantenere il suo esercito e conquistò facilmente anche un paio di castelli a cui Martino V teneva molto.
Quando il Papa, irritato, li chiese indietro si sentì offrire da Braccio un baratto: restituisco i due castelli ma voglio Città di Castello. Il Pontefice accolse – forse anche per prendere tempo – la proposta e cedette Città di Castello (anche se chiese a Braccio di conquistarla militarmente per non dare l’impressione di troppa cedevolezza) e dove però Braccio non andò subito perché dovette tornare a Napoli dove la situazione si era fatta di nuovo molto tesa. Si scontrò ancora con Muzio Attendolo Sforza e con i suoi alleati ma dopo battaglie feroci avvenne l’incredibile: i due Capitani si incontrarono e fecero la pace. Braccio si fece promettere da Sforza – fra le altre cose– che non avrebbe mai invaso l’Abruzzo, di cui il perugino, grazie ai favori resi alla Regina Giovanna, era stato nominato governatore.
(2 - continua)
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