Ex parroco accusato di omicidio: annullata la condanna a 21 anni
Don Piccoli, per tanto tempo a Pizzoli e Rocca di Cambio, avrebbe strangolato un prete a Trieste Ricorso accolto: inutilizzabili gli accertamenti di autopsia e Dna fatti senza i consulenti dell’imputato
L’AQUILA. La Cassazione ieri pomeriggio ha annullato la condanna a 21 anni di carcere che era stata inflitta a don Paolo Piccoli, 56 anni, originario di Verona – ma incardinato nella diocesi dell’Aquila– accusato di aver strangolato, il 25 aprile 2014, l’ anziano prete don Giuseppe Rocco che viveva con lui a Trieste in un seminario per sacerdoti pensionati. Si tratta di un annullamento con rinvio. Quindi ci sarà un nuovo processo questa volta non più a Trieste (dove si sono svolti i primi due gradi di giudizio) ma davanti alla Corte d’ Appello di Venezia.
Le motivazioni del rinvio sono tecniche ma sostanziali perché mettono in discussione l'utilizzabilità delle consulenze tecniche che nei primi due processi portarono alla condanna di don Piccoli. Per la difesa del sacerdote, rappresentata dall’avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, è stato un successo su tutta la linea. La sensazione che le cose si stessero mettendo nella direzione auspicata dal legale di don Piccoli si è avuta sin da ieri mattina quando il procuratore generale nel suo intervento ha chiesto l’accoglimento di uno dei motivi proposti dalla difesa dell’imputato.
Per capire meglio quello che è successo va detto che la Cassazione non entra nel merito delle accuse ma stabilisce se il processo si è svolto o meno in maniera legittima. In questo caso la ragione dell’annullamento sta nel fatto che è stato violato il diritto alla difesa non consentendo la presenza di consulenti di parte in occasione di specifiche consulenze. Più in dettaglio la sentenza d'Appello di condanna è stata “cassata” perché gli accertamenti tecnici del Ris di Parma sulle tracce di sangue e la consulenza autoptica utilizzati nei processi di primo e secondo grado non sarebbero stati, in realtà, ammissibili: erano entrambi accertamenti irripetibili, ma don Paolo Piccoli non venne avvisato per nominare i suoi consulenti. Erano stati i risultati dell’autopsia a stabilire che l’anziano sacerdote era morto non per cause naturali ma per strangolamento. Poi c’era la prova del Dna su alcune tracce di sangue rinvenute sulle lenzuola del letto dove fu trovato il cadavere. Quelle tracce sono state attribuite a don Piccoli che, secondo l’accusa, avrebbe ucciso il religioso per rubare una catenina.
Il prete _ che in passato è stato parroco di Pizzoli e Rocca di Cambio _ ha sempre respinto ogni accusa e secondo il suo legale è stato incastrato senza un movente davvero rilevante ma solo sulla scorta di ipotesi. «È una grande vittoria» ha commentato l’avvocato Calderoni, «siamo ottimisti, perché adesso saranno ascoltati i nostri consulenti tecnici e si potrà finalmente dare una lettura differente a quanto avvenuto nove anni fa». Il caso ha suscitato un grande clamore mediatico: durante le udienze del primo processo era presente la troupe del programma “Un giorno in pretura” che ha mandato in onda un'ampia sintesi del dibattimento nell’ottobre scorso e della vicenda si è occupata anche la trasmissione “Chi l’ha visto”. I processi sono stati seguiti anche dall’Aquila dove don Paolo è stato diversi anni ed è molto conosciuto.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Le motivazioni del rinvio sono tecniche ma sostanziali perché mettono in discussione l'utilizzabilità delle consulenze tecniche che nei primi due processi portarono alla condanna di don Piccoli. Per la difesa del sacerdote, rappresentata dall’avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, è stato un successo su tutta la linea. La sensazione che le cose si stessero mettendo nella direzione auspicata dal legale di don Piccoli si è avuta sin da ieri mattina quando il procuratore generale nel suo intervento ha chiesto l’accoglimento di uno dei motivi proposti dalla difesa dell’imputato.
Per capire meglio quello che è successo va detto che la Cassazione non entra nel merito delle accuse ma stabilisce se il processo si è svolto o meno in maniera legittima. In questo caso la ragione dell’annullamento sta nel fatto che è stato violato il diritto alla difesa non consentendo la presenza di consulenti di parte in occasione di specifiche consulenze. Più in dettaglio la sentenza d'Appello di condanna è stata “cassata” perché gli accertamenti tecnici del Ris di Parma sulle tracce di sangue e la consulenza autoptica utilizzati nei processi di primo e secondo grado non sarebbero stati, in realtà, ammissibili: erano entrambi accertamenti irripetibili, ma don Paolo Piccoli non venne avvisato per nominare i suoi consulenti. Erano stati i risultati dell’autopsia a stabilire che l’anziano sacerdote era morto non per cause naturali ma per strangolamento. Poi c’era la prova del Dna su alcune tracce di sangue rinvenute sulle lenzuola del letto dove fu trovato il cadavere. Quelle tracce sono state attribuite a don Piccoli che, secondo l’accusa, avrebbe ucciso il religioso per rubare una catenina.
Il prete _ che in passato è stato parroco di Pizzoli e Rocca di Cambio _ ha sempre respinto ogni accusa e secondo il suo legale è stato incastrato senza un movente davvero rilevante ma solo sulla scorta di ipotesi. «È una grande vittoria» ha commentato l’avvocato Calderoni, «siamo ottimisti, perché adesso saranno ascoltati i nostri consulenti tecnici e si potrà finalmente dare una lettura differente a quanto avvenuto nove anni fa». Il caso ha suscitato un grande clamore mediatico: durante le udienze del primo processo era presente la troupe del programma “Un giorno in pretura” che ha mandato in onda un'ampia sintesi del dibattimento nell’ottobre scorso e della vicenda si è occupata anche la trasmissione “Chi l’ha visto”. I processi sono stati seguiti anche dall’Aquila dove don Paolo è stato diversi anni ed è molto conosciuto.
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