Grandi rischi, ecco lo scaricabarile

I difensori provano a smontare le tesi dell'accusa: il 31 marzo 2009 "nessuna riunione di massimi esperti del rischio sismico". Attacco alla stampa: "Effetti distorsivi rispetto a certi messaggi diffusi"

L'AQUILA. Si salvi chi può. Il 31 marzo 2009 all'Aquila non c'è stata «nessuna riunione di massimi esperti del rischio sismico». La commissione «era monca, mancava persino il plenum». L'organismo, seppure riunito, «non doveva comunicare niente a nessuno». E ancora. Chi ha parlato lo ha fatto «a titolo personale». E gli altri «non potevano sapere cosa diceva chi parlava». E «a che titolo lo faceva».

Il direttore dell'ufficio III per la valutazione, prevenzione e mitigazione del rischio sismico e vulcanico del Dipartimento di Protezione civile nonché direttore del servizio sismico nazionale (Mauro Dolce), «non ha competenza specifica sui terremoti». Il vicecapo della Protezione civile, poi (De Bernardinis), è «un ingegnere idraulico, un bravo organizzatore, ma quel giorno della commissione fece il maggiordomo e di terremoti ne sa quanto Cialente».

Infine, diciamolo pure, occorrerebbe, in questo processo, «parlare finalmente del ruolo della stampa e riflettere, quello sì, sugli effetti distorsivi rispetto a certi messaggi diffusi». Nell'aula del tribunale provvisorio di Bazzano, al comune cittadino sembra proprio di stare su Marte. Non per loro, non per gli avvocati che per mestiere devono difendere i sette imputati di omicidio colposo plurimo. Sette pezzi grossi della comunità scientifica e del Dipartimento di Protezione civile, professionisti noti in Italia e all'estero e che, componenti effettivi o meno, dotati di parola e di diritto di voto o meno, erano lì quel giorno della commissione grandi rischi, per cui si chiede il processo. Quel giorno che la terra tremava e che, da lì a poco, avrebbe tremato ancora più forte. Uccidendo 309 persone, ferendone poco meno di 2mila, devastando città e paesi. Stravolgendo le vite di tanta gente. E cambiando per sempre la storia dell'Abruzzo.

SI SALVI CHI PUÒ. Se ci fosse un motto di riserva da adattare alla giornata, con tutto il rispetto per quella scritta «La legge è uguale per tutti», forse sarebbe proprio questo. Si salvi chi può. Dopo la requisitoria del pm Fabio Picuti, che ha chiesto il processo per tutti gli imputati (Franco Barberi; Bernardo De Bernardinis detto Chicco; Enzo Boschi; Giulio Selvaggi; Gian Michele Calvi; Claudio Eva; Mauro Dolce), la parola alla difesa. Che, ovviamente, per tentare di smontare la ricostruzione dell'accusa può affidarsi a qualsivoglia tecnica. Paradossi compresi. Scienziati contro Dipartimento. Dipartimento contro scienziati. Enti centrali contro strutture periferiche. I miei non hanno parlato, le interviste le hanno fatte altri.

LO SPEZZATINO NO. Lo «spezzatino» cucinato dall'agguerrita pattuglia dei colleghi difensori degli imputati non piace al decano dei penalisti aquilani Attilio Cecchini, avvocato di una delle parti civili. «Si cerca di parcellizzare, atomizzare», argomenta Cecchini. «Si dimentica l'aspetto dell'impatto sulla popolazione, che è stata disinformata. Se è vero questo, allora tutta la commissione deve rispondere di tutto come organismo unitario dove ognuno si fa carico delle responsabilità dell'altro che non adempia al compito che gli è stato affidato».

L'OTTAVO IMPUTATO. Un invito al pm ad allargare il cerchio sulle responsabilità del mancato allarme e della violazione delle normali regole ispirate alla cautela giunge dall'avvocato Alessandra Stefàno che assiste Gian Michele Calvi, direttore dei lavori del progetto Case, presidente della Fondazione Eucentre (al cui Master insegna Bertolaso) e nei cui laboratori furono fatte le prove di qualificazione sui dispositivi antisismici dello stesso piano Case. Ma questa è un'altra storia. E un'altra inchiesta. Dice la Stefàno: «La stampa ha cominciato a fare il mea culpa. Si deve riflettere, allora, sul suo ruolo». Ecco, ad adiuvandum, Filippo Dinacci, difensore di De Bernardinis e Dolce: «Va indagato il ruolo della stampa per gli effetti distorsivi rispetto a certi messaggi e alla volontà di tranquillizzare la popolazione».

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