L’Aquila

Guerra tra reparti di oncologia all’Aquila: archiviate le accuse ai medici

8 Ottobre 2025

Sette camici bianchi sotto inchiesta, tutto era nato da un esposto sulle cure somministrate ai pazienti. Confermata la richiesta del pubblico ministero Timpano dopo l’esame delle perizie dei consulenti. (Nella foto, avvocati davanti all’aula d’udienza)

L’AQUILA. Archiviazione-bis. Si ferma il procedimento nei confronti di sette medici dell’ospedale San Salvatore per le cure ai pazienti trattati nei reparti di Oncologia. Ieri mattina, nel corso di un’udienza in camera di consiglio, a palazzo di giustizia, erano state depositate le memorie difensive delle parti coinvolte nella controversa e complessa vicenda, prima medica e poi giudiziaria, che ha finito per gettare un’ombra sull’efficacia delle cure praticate su alcuni pazienti oncologici dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila.

LA GUERRA DI ONCOLOGIA. L’udienza è servita al giudice per le indagini preliminari, Marco Billi, ad acquisire nuovi elementi utili per la sua decisione, arrivata nella tarda serata di ieri. In gioco, oltre alle eventuali ripercussioni giudiziarie sulle persone direttamente coinvolte, l’immagine, e la credibilità, dello stesso ospedale aquilano, ma anche dell’Università del capoluogo e dell’intera Azienda sanitaria locale.

La vicenda prese le mosse a partire dalla presentazione di un esposto-denuncia da parte del primario di una delle due facce di quel Giano bifronte in cui è suddivisa l’oncologia aquilana, con il professor Luciano Mutti (primario dell’unità operativa di Oncologia dell’ospedale San Salvatore), a mettere nero su bianco l’utilizzo di pratiche mediche definite “extra-protocollo”, addebitate, nella denuncia, all’équipe medica guidata dal professor Enrico Ricevuto. E con quest’ultimo tirato dunque in ballo – insieme alla dottoressa Gemma Bruera – per averne permesso la somministrazione sui pazienti passati, invece, per le cure dell’Oncologia territoriale, unità della quale è responsabile. Nell’esposto in questione si parlava, infatti, della somministrazione di farmaci cosiddetti off-label (ossia prescritti per indicazioni terapeutiche diverse da quelle autorizzate), così come dell’assenza di consensi informativi e autorizzazioni da parte dei pazienti al loro utilizzo. Più in generale, del ricorso a una metodologia clinica la cui efficacia terapeutica non sarebbe adeguatamente supportata dalla stessa letteratura scientifica. Cosa che avrebbe contribuito, quando non causato, secondo il querelante, il decesso di diversi pazienti, con sette medici finiti poi nel registro degli indagati. Un fascicolo, quello aperto dalla Procura della Repubblica, confluito infine in una prima richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, Ugo Timpano, subito però impugnata dallo stesso Mutti, che si era così rimesso alla decisione finale del giudice.

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