Iacoboni: «Favori? No, assunzioni normali»

Il sindaco di Magliano interrogato dal gip: allora potevano arrestarmi sessanta volte

L'AQUILA. «L'assunzione in cambio di favori? Potevano arrestarmi almeno 60 volte per il bene che ho fatto e rifarei». Il sindaco di Magliano dei Marsi, Gianfranco Iacoboni, ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta Penelope, si è difeso anche così davanti al gip. È uno dei passaggi dell'interrogatorio di garanzia che si è tenuto ieri nel tribunale di Bazzano.

Per non più di dieci minuti il sindaco di Magliano, Iacoboni, attualmente sospeso dalla carica su disposizione del prefetto Iurato, ha risposto alle domande del gip Giuseppe Romano Gargarella, alla presenza del pm Antonietta Picardi. Tre quarti d'ora è durato invece l'interrogatorio dell'altro indagato, l'assessore e avvocato Angelo Iacomini.

I due componenti della giunta di Magliano dei Marsi sono finiti agli arresti domiciliari giovedì scorso insieme ai fratelli Sergio e Franco Celi, originari di Massa d'Albe, imprenditori titolari della Celi calcestruzzi, nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla Distrettuale antimafia dell'Aquila che contesta, a vario titolo, anche ad altri 7 indagati, i reati di corruzione, furto aggravato, truffa, violazione delle leggi ambientali, falso e abuso d'ufficio.

Accuse che ieri pomeriggio i quattro hanno provato a smontare. «Abbiamo documentalmente provato», hanno sottolineato Leonardo Casciere e Antonio Iannucci, difensori degli amministratori comunali, «che la delibera per l'ampliamento della cava è validissima perché faceva parte di un altro progetto. La Procura non era in possesso di questi documenti e noi li abbiamo portati, insieme a una memoria difensiva. La particella di cava in questione era stata assegnata a un'altra ditta, con la quale era stato risolto il contratto perché non aveva pagato. A quel punto la particella è stata assegnata ai Celi. A fronte di una richiesta di 31mila metri cubi di ghiaia ne sono stati assegnati 14mila, senza scavare niente. I nostri assistiti hanno anche precisato di non avere avuto alcun rapporto con L'Aquila e con lo smaltimento delle macerie. L'assessore Iacomini ha chiarito che non c'è alcuna dazione di denaro. I soldi alla squadra di calcio del Magliano sono stati dati da 50 o 60 fra imprenditori e cittadini come normalmente succedeva. Niente di strano. Non è stato dato nulla e nulla è stato ottenuto in cambio».

L'avvocato Casciere ha poi aggiunto: «Non è che la Procura ha preso un abbaglio, sono stati valutati male gli atti o meglio molti atti non li avevano». Gli avvocati Casciere e Iannucci hanno chiesto la revoca delle misure cautelari per sindaco e assessore.

Stessa richiesta è arrivata per i fratelli Celi da parte dei legali Antonio Milo e Giancarlo Paris. «Speriamo che le risposte date convincano il gip», ha affermato l'avvocato Antonio Milo. «La ditta Celi opera da oltre 60 anni nel rispetto delle regole» ha aggiunto il legale avezzanese.

I fratelli Celi, interrogati separatamente per circa un'ora, hanno risposto a tutte le domande del gip. Gli imprenditori hanno ribadito che «per quanto riguarda le macerie è stata vinta una gara nel 2009 per il carico, trasporto e recupero di 10mila tonnellate di macerie con il Comune dell'Aquila». Hanno poi ribadito che non esiste alcun patto tra politici e imprenditori: «L'assunzione di Luigi Morgante (il camionista indagato, ndr) è frutto di una scelta aziendale in virtù della comprovata esperienza del Morgante, senza alcun collegamento con la richiesta del sindaco, assunzione peraltro avvenuta un anno dopo».

Chiarimenti sono stati dati anche sulle presunte prove false presentate per testare il cemento armato delle villette sequestrate a Carsoli. L'indagine ha infatti portato al sequestro di beni per circa 10 milioni di euro. Oltre alle ville, i sigilli sono stati apposti a una cava nella Marsica e a parte di un impianto di calcestruzzo all'Aquila. Oggi, intanto, la magistratura dovrebbe eseguire una serie di verifiche sulle ville sequestrate. A richiedere gli esami di staticità è stato Paolo Frani, legale del costruttore Alessandro Arcangeli, anch'egli indagato. La stessa richiesta era stata avanzata dai fratelli Celi.

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