L’AQUILA

Il padrino accusava: negati i miei diritti

Il boss infuriato per la sua missiva intercettata dal reparto speciale della Penitenziaria e bloccata dal tribunale dell’Aquila

L’AQUILA. Il boss Matteo Messina Denaro accusava il tribunale di sorveglianza dell’Aquila di avergli negato i suoi diritti fondamentali. In particolare per quella lettera, scritta di suo pugno mentre era detenuto in regime di 41 bis nel supercarcere Le Costarelle di Preturo e indirizzata a un non meglio precisato familiare, ma intercettata dal reparto speciale della polizia penitenziaria e poi bloccata dai giudici del capoluogo abruzzese, che ad aprile rigettarono il reclamo ufficiale avanzato dal boss per il mancato inoltro.

Tra le righe della sua ultima missiva doveva esserci scritto qualcosa di importante, tanto da spingere il capo di Cosa Nostra ad appellarsi alla Corte di Cassazione perché ne autorizzasse l’invio. E a farlo con un ricorso contro l’ordinanza del tribunale di sorveglianza in cui si parlava, appunto, di «violazione di legge e vizio di motivazione, prospettando la lesione dei suoi diritti fondamentali ». Righe a cui Messina Denaro teneva così tanto da far ipotizzare che contenessero il testamento del boss.

Il capo mafia è morto il 25 settembre scorso sul letto dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, senza riuscire a ottenere una risposta dai giudici della Cassazione. La sentenza è infatti arrivata solo successivamente: ricorso inammissibile per decesso del ricorrente. Ed è stata proprio la sentenza a svelare pubblicamente la vicenda, pur non fornendone dettagli precisi. 

ARTICOLO COMPLETO SUL GIORNALE IN EDICOLA